L’efficienza termica dei sistemi applicati

Dalla rivista:
Elettronica Oggi

 
Pubblicato il 26 febbraio 2013

I moderni sistemi elettronici sono oramai quasi tutti realizzati componendo insieme più sottosistemi a elevate prestazioni ma in questo modo le problematiche di smaltimento del calore dissipato si complicano a causa del gran numero di dispositivi attivi ammassati in spazi sempre più ristretti. Questa difficoltà si sta acutizzando in tutti i settori embedded a cominciare dalle applicazioni industriali e aeronautiche, ma coinvolge sempre di più anche il settore medicale e l’elettronica consumer.

In ospedale, come dappertutto, si tende a preferire strumenti diagnostici compatti e portatili rispetto alle ingombranti apparecchiature da banco tradizionali e, per di più, cresce l’utilizzo delle tecnologie a energia relativamente elevata basate sull’utilizzo intensivo di microonde, radiofrequenze, onde magnetiche, emissione laser, calore o generazione criogenica. Per questi apparati la gestione termica si è ulteriormente complicata proprio perché si tratta di strumenti medicali che devono soddisfare requisiti di sicurezza maggiormente critici in termini di biocompatibilità, precisione, stabilità in temperatura, utilizzo con qualsiasi orientamento (anche “sottosopra”), sterilità, repellenza alla polvere e immunità all’inquinamento batterico.

In un suo recente bollettino IEC recita che “oggi nelle applicazioni critiche la robustezza non può più essere solo meccanica ed elettrica ma deve coinvolgere anche i metodi impiegati per lo smaltimento del calore a tutti i livelli”. Ne consegue che occorre prevedere l’inserimento di opportune strutture e adeguati materiali fra i dispositivi attivi e le superfici dei contenitori in modo tale che il calore generato all’interno possa fuoriuscire rapidamente.

Alcuni prototipi presentati dai laboratori che studiano le nuove tecnologie che consentiranno di raffreddare con miglior efficienza i sottosistemi con elevata densità di componenti attivi

100 W/cm2 e oltre…
Un semplice calcolo approssimativo che permette di rendersi conto di quanto calore dissipa un dispositivo è dato dalla formula Tg=TA+P*Rt che significa che la temperatura di giunzione, ossia la massima temperatura generata dal componente attivo, è pari alla temperatura ambiente sommata alla potenza elettrica presente nel dispositivo moltiplicata per la resistenza termica osservabile fra la sua giunzione e l’ambiente. Precisamente, la potenza P è data da Icc*Vcc ed è espressa in W mentre la Rt è la somma di tutte le resistenze termiche presenti fra la giunzione e l’ambiente ed è espressa in °C/W. Quest’ultima può avere valori molto diversi perché dipende sia dai materiali interposti sia dalla tecnologia di fabbricazione adottata e comunque viene generalmente indicata nei datasheet.

Nei package tradizionali (Ssop, Pdip) si va da 40 a 90 °C/W e quindi considerando un dignitoso valore di 55 °C/W alla temperatura ambiente di 25 °C e con un consumo di 1 W si ottiene una temperatura di giunzione di 80 °C, sufficienti per scottarsi. Nei package più moderni (Pqfp, Sbga, Cpga, e così via) la Rt può scendere parecchio e addirittura fra 10 e 20 °C/W il che permette di ottenere Tg attorno ai 40 °C senza dubbio molto più gestibili. Inoltre, molti circuiti integrati consumano meno di 1 W e dispongono di nuovi package ancor migliori che permettono di abbattere le temperature di giunzione dei componenti attivi persino a 30 °C. Valori simili sono già stati ottenuti sulle schede di molti smartphone in commercio e si consideri che lavorano a radiofrequenza e quindi con segnali relativamente energetici tali per cui è fondamentale implementare a bordo solo transistor a elevata efficienza e bassa dissipazione.

Se si considera la quantità e la potenza dei transistor presenti in questi moderni sistemi si può comprendere che sia mediamente necessario smaltire flussi di calore di almeno un centinaio di W/cm2. Per far ciò si possono circondare i processori e i circuiti integrati più caldi con lamine termicamente conduttive capaci di ingrandire la superficie di smaltimento e far uscire più rapidamente il calore in modo tale di evitare di ricorrere alle ingombranti e obsolete ventole di raffreddamento tipicamente diffuse nei grandi armadi industriali ma certamente impensabili negli apparecchi portatili come i telefonini o gli strumenti medicali.

Queste esigenze vanno considerate già nel momento di implementare e configurare il PMIC, ossia il circuito integrato per la gestione dell’alimentazione che sta diventando sempre più importante nei moderni sistemi embedded, ma è evidente che occorre tenerne conto in tutte le fasi della progettazione se si vuole abbattere le dissipazioni termiche inutili e migliorare l’efficienza energetica dei sistemi. Se fino a poco tempo fa nella progettazione dei sistemi embedded si perseguiva la miniaturizzazione SWaP, Size-Weight-and-Power, oggi questo termine coniato dai costruttori americani di sistemi militari è stato trasformato da Bicsi nella sua forma più utile SWaP-C, Size-Weight-Power-and-Cooling, proprio per rispondere ai nuovi requisiti termici sempre più critici perché causati dall’elevata miniaturizzazione delle schede.

Sono state sviluppate numerose tecniche per lo smaltimento del calore in eccesso e possono esprimere rendimenti molto diversi perché dipendono dai materiali e dalla geometria dei dissipatori. Per esempio, la convezione naturale senza alcuna struttura dissipativa offre al massimo un’efficienza del 40% e ciò vuol dire che su 50 °C generati se tutto va bene saranno smaltiti indicativamente 20 °C mentre ne rimarranno almeno 30 °C sul componente. Meglio la ventilazione forzata che può aumentare l’efficienza fino al 70% ed estrarre persino 30 o 35 °C. Oltre a queste tecniche ben conosciute, tuttavia, sta diventando sempre più importante la possibilità di interporre fra dispositivo e case uno o più materiali termicamente conduttivi, ossia delle lamine con la capacità di spostare il calore grazie alle quali si può moltiplicare l’efficienza dissipativa della convezione e aumentare la quantità del calore espulso fino a 30 °C senza bisogno di ventole.

Nuove geometrie
Sono state proposte tecniche di questo tipo ancor più sofisticate che ricorrono a spessori strutturati contenenti piccole quantità di liquidi in opportune intercapedini capaci di offrire un’efficienza dissipativa ancor migliore, ma lo svantaggio della maggior complessità rende queste tecniche poco convenienti e confermano la predilezione dei progettisti verso le strutture dissipative più semplici nelle quali però si cercano i materiali con caratteristiche termiche più performanti.

Un’idea molto attuale è nata dalla recente possibilità di utilizzare per le schede elettroniche nuovi supporti flessibili che hanno il vantaggio di potersi deformare a piacimento. Sono già stati presentati prototipi di sottosistemi realizzati su schede ceramiche a film sottile stampate su “tubi” di acciaio (Cylindrical Thick Film on Steel, di forma cilindrica) al cui interno può circolare l’aria e rendere più efficiente il raffreddamento per convezione, superando abbondantemente il limite del centinaio di W/cm2. Secondo l’Institute of Sensor and Actuator Systems dell’University of Technology di Vienna questa possibilità permetterebbe di realizzare schede di alimentazione per autoveicoli ele
ttrici, pannelli fotovoltaici o turboeliche a vento molto più abili nello smaltire il forte calore generato dalle parti attive o dai resistori di potenza e ottenere così un’efficienza energetica notevolmente superiore proprio nelle applicazioni che promettono di diventare trainanti nei prossimi anni.

Sono stati presentati anche prototipi di schede stampate su supporti plastici che hanno il grande vantaggio di pesare poco e nelle applicazioni con potenza nell’ordine delle decine o centinaia di Watt ciò consente di realizzare package planari più grandi ma con bassissima resistenza termica e, quindi, capaci di smaltire facilmente grandi quantità di calore. La superficie più grande, infatti, agevola il raffreddamento dei componenti anche senza bisogno di aggiungere particolari strutture dissipative e quindi semplifica i processi di fabbricazione di queste schede.

Ferro Electronic Materials ha già sperimentato i primi circuiti tubolari realizzati utilizzando biossido di rutenio come dielettrico e ha registrato valori di resistenza termica fra giunzione e ambiente persino inferiori a 1 °C/W. Gli esperti inglesi fanno notare, inoltre, che negli autoveicoli elettrici è già presente un impianto di raffreddamento a liquido e quest’ultimo potrebbe essere fatto scorrere anche attorno alle schede planari o all’interno delle schede tubolari consentendo di smaltire quantità di calore ancora maggiori e ottenere valori di rendimento energetico indubbiamente interessanti per questi motori perché ne aumenterebbero la competitività sul mercato automobilistico.

Lucio Pellizzari



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