Apparati di test e misura, leva chiave per l’innovazione

Dalla rivista:
Elettronica Oggi

 
Pubblicato il 14 settembre 2011

In tutte le attività umane nel mondo, e soprattutto in quelle di carattere ingegneristico, le operazioni di misura e la relativa strumentazione necessaria per eseguirle giocano un ruolo importantissimo. Infatti, se oggi non fossero disponibili apparati di misura adeguati, non potrebbe esistere nemmeno tutto quello di cui oggi disponiamo in termini di prodotti e tecnologie evolute, compreso il comparto della Difesa e dell’industria aerospaziale. Una riflessione, questa, che ha permesso all’ammiraglio Lucio Accardo dell’Afcea – l’Associazione delle comunicazioni e dell’elettronica per le Forze armate, capitolo di Roma – di introdurre l’edizione 2011 del forum Forum Aerospazio e Difesa di National Instruments, patrocinato oltre che dalla stessa associazione, anche da Incose Italia (International council on systems engineering), Mimos (Movimento italiano modellazione e simulazione) e Lazio Connect.

L’area espositiva del Forum Aerospazio e Difesa 2011 di National Instruments

Al centro delle presentazioni e del dibattito sono stati gli approfondimenti sullo stato dell’arte tecnologico dei sistemi ingegneristici di prossima generazione, le applicazioni e i settori attualmente all’avanguardia nel mondo Difesa e aerospazio, e le strategie per imprimere un’accelerazione a quello che Accardo considera un indispensabile network di conoscenze e innovazione, nel nostro Paese rappresentato prima di tutto dal connubio fra industria e università. In questo senso, ha precisato, l’Afcea ha anche il compito di promuovere il dialogo fra le istituzioni governative militari, l’industria e l’università, per far avanzare la conoscenza professionale nel campo delle telecomunicazioni e dell’information technology.

Marco Airaghi, consigliere del ministro della Difesa per le attività aerospaziali e vicepresidente dell’ Agenzia spaziale italiana, ha spiegato nel proprio intervento come l’industria aerospaziale “sia uno dei pochi settori in cui il nostro Paese ha davvero qualcosa da dire. Una di quelle aree di eccellenza della nostra nazione che, se ben curate possono garantire occupazione e sviluppo nei prossimi decenni”. L’Italia, ricorda, è una potenza spaziale, anche se pochi cittadini lo sanno. “Siamo stati la terza nazione al mondo a mettere in orbita un satellite dopo l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti”. Il 15 dicembre 1964. Una data storica. Era l’epoca del progetto San Marco, ideato dal professor Luigi Broglio. Tempi gloriosi, che siglarono l’inizio dell’era spaziale italiana.

Oggi purtroppo, spiega Airaghi, nel sistema Italia permangono diverse “criticità”. Fra i problemi chiave sente, ad esempio, la forte utilità di avere nel Paese una capacità satellitare in grado di gestire i servizi quotidiani. La necessità nelle attività spaziali nazionali di sviluppare maggiormente gli accordi bilaterali con i vari Paesi; l’importanza di avere un sistema italiano di osservazione di terra basato su satelliti, ad esempio per monitorare l’afflusso di clandestini alle frontiere o la sicurezza ambientale. Ma anche l’importanza di avere un accesso indipendente allo spazio, attraverso lanciatori come Vega, nato da un progetto di collaborazione fra l’Agenzia spaziale italiana (Asi) e Avio. Non ultima, la necessità di imparare a fare squadra, per ottenere il successo nello sviluppo dei progetti importanti.

Ancora più potenza per la strumentazione
Il passaggio dai sistemi complessi ai sistemi di sistemi, sottolinea Bruno Mazzetti di Finmeccanica, ha fatto evolvere il system engineering, accrescendo il ruolo delle strategie di Plm (Product lifecycle management) anche in campo aerospaziale e militare. Diventa dunque sempre più cruciale, spiega Sean Thompson, platform manager per le applicazioni aerospazio e Difesa di NI, migliorare la gestione del ciclo di vita della strumentazione per il test dell’elettronica e risolvere i problemi di obsolescenza degli apparati, utilizzando piattaforme modulari basate su tecnologie Cots e ponendo il software al cuore del sistema di test.

Sean Thompson, platform manager per le applicazioni aerospazio e Difesa di NI

Nel settore della Difesa e delle applicazioni aerospaziali, come in molti altri campi di utilizzazione dei semiconduttori, i progressi delle tecnologie elettroniche hanno portato a realizzare dispositivi innovativi, caratterizzati da un sempre più elevato livello d’integrazione e miniaturizzazione. Ciascuno di questi però, prima di arrivare sul mercato, deve superare precise fasi di test e collaudo. Ad esempio, spiega National Instruments, l’aggiunta di funzionalità wireless Lan su un prodotto di ultima generazione tipicamente richiede 50 nuovi test, da eseguire nello stesso tempo di quelli effettuati per i prodotti precedenti. Per fortuna, le attuali piattaforme di test e la strumentazione modulare, combinate con soluzioni applicative definite via software (software-defined) permettono di stare al passo con le ultime evoluzioni nei dispositivi Dut (Devices under test).

Oggi, rispetto alla soluzione di realizzare un sistema di test automatizzato (Ate) con i tradizionali strumenti da banco, collocati in un rack e impilati uno sopra l’altro (strumentazione rack-and-stack), la scelta di utilizzare strumentazione modulare software-defined e basata su tecnologia Pxi (Pci extensions for instrumentation) consente, sottolinea NI, di ottenere maggior velocità nella validazione dei semiconduttori, oltre che riduzione dei costi e compattezza degli apparati.

Un sistema di test basato su architettura Pxi

Un digitalizzatore per segnali ad alta fedeltà
Fra gli esempi più significativi di strumentazione di test e misura con prestazioni all’avanguardia nel settore, NI mette in primo piano il digitalizzatore PXIe-5186, nato da una collaborazione tra la stessa società e Tektronix, produttore di primo piano nell’area di mercato degli oscilloscopi. Questo digitalizzatore utilizza la tecnologia Enabling Technology di Tektronix, basata su chip Asic e Adc proprietari, progettati per fornire una maggior fedeltà del segnale in applicazioni con oscilloscopi e digitalizzatori. Ciò consente a PXIe-5186 di ottenere fino a 5 GHz di larghezza di banda e frequenze di campionamento di 12,5 GS/s (gigasample per second).

Accanto a questo modello, NI affianca anche la versione PXIe-5185, in grado di fornire 3 GHz di larghezza di banda e dotata della medesima frequenza di campionamento (12,5 GS/s). Entrambi i digitalizzatori vanno a costituire la piattaforma hardware e software di National Instruments basata su Pxi, e studiata per fornire prestazioni ottimizzate per le applicazioni di test automatizzato. Tutti e due gli strumenti supportano il software di progettazione grafica per il controllo strumenti e l’automazione LabVIEW; LabWindows/Vi, ambiente software di sviluppo di tipo Ansi C, e gli strumenti di sviluppo Micros
oft Visual Studio. Net, per consentire la disponibilità di un’ampia gamma di opzioni di programmazione. I digitalizzatori si possono programmare utilizzando il driver NI-Scope o il LabVIEW Jitter Analysis Toolkit.

Fra le caratteristiche più interessanti illustrate da Thompson durante la presentazione degli strumenti, l’elevata affidabilità della Enabling Technology, che consente di contenere molto il jitter di campionamento del digitalizzatore (500 fs Rms), decisamente inferiore, spiega Thompson, rispetto a quello di altri apparati del genere (1200 fs Rms). Questo jitter molto basso dà la possibilità di ottenere 5,5 Enob (effective number of bits) a 5 GHz. Cosa in genere parecchio difficile da raggiungere, continua l’esperto, visto che tipicamente il valore Enob si degrada al crescere della frequenza dei segnali. Ad esempio, altri digitalizzatori in concorrenza sul mercato riuscirebbero a raggiungere soltanto 4,5 Enob a 1,8 GHz di frequenza, pari a una velocità di campionamento di 8 GS/s.
 

Giorgio Fusari



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