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POWER

DIGITAL

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- ELETTRONICA OGGI 442 - GENNAIO/FEBBRAIO 2015

tisti non erano più costretti a utilizzare componenti

discreti per realizzare circuiti complessi e relati-

vamente costosi. Essi invece potevano far ricor-

so a un modulo compatto montato su ciascuna

scheda, che richiedeva solamente l’aggiunta di un

numero molto ridotto di componenti per il disac-

coppiamento e il filtraggio. L’utilizzo dei moduli di

potenza comportava anche un sensibile aumen-

to dell’affidabilità del sistema. Questo aspetto è

particolarmente importante per tutti i progettisti

impegnati nello sviluppo di apparecchi per reti di

comunicazione, per i quali è richiesta una durata

operativa dell’ordine dei 25 anni (o addirittura su-

periore).

Solitamente l’unità AC-DC di front-end forniva

un’uscita a -48V e un modulo di potenza DC-DC

presente su ciascuna scheda convertiva questa

tensione a valori inferiori (12 o 5V o una combinazione di en-

trambi) al fine di erogare la corretta tensione di alimentazione ai

semiconduttori presenti nel sistema (Fig. 1). Successivamente,

hanno iniziato a fare la loro comparsa dispositivi a semicondut-

tore operanti a 3,3V e attualmente molti di essi utilizzano ten-

sioni di soli 0,9V e non sono rari i casi di microprocessori che

assorbono una corrente fino a 90A a pieno carico.

Tanto maggiore è la differenza tra la tensione (o le tensioni) di

uscita di un convertitore DC/DC, tanto minore è l’efficienza del

processo di conversione.

È

presto apparso evidente che per ga-

rantire la massima efficienza del sistema era più opportuno

gestire la conversione finale nelle immediate vicinanze del

carico, ovvero il processore, l’FPGA o dispositivi simili. Oltre

ad aumentare notevolmente il livello di efficienza, il fatto di

posizionare i convertitori di potenza il più vicino possibile

ai loro carichi, evita il verificarsi di fenomeni di instabilità

imputabili alle impedenze parassite che caratterizzato le

piste di una certa lunghezza presenti sulla scheda PCB o

nei cablaggi del sistema. La società Datel, che faceva parte

della divisione elettronica di potenza di C&D Technologies e

fu acquisita da Murata nel 2007, è stata negli anni ‘80 e ‘90

uno dei pionieri nel settore dei convertitori DC-DC isolati e

dei moduli POL. Le architetture di potenza distribuite possono

essere implementate in vari modi, utilizzando tensioni di bus

regolate o non regolate. Nel momento è aumentata la comples-

sità dei sistemi e di conseguenza il numero delle differenti ten-

sioni richieste – ad esempio 12, 5, 3,3, 2,5 e 1,2V – i progettisti

dei sistemi di potenza hanno iniziato ad adottare, all’incirca una

quindicina di anni fa, architetture di tipo IBA (Intermediate Bus

Architecture). In architetture di questo tipo (Fig. 2) l’alimentatore

AC-DC invia a un convertitore IBA una tensione di 24 o -48V. il

convertitore IBA isolato a sua volta eroga uscite comprese tra 5

e 14 V destinate ai convertitori POL.

Il passaggio al digitale

La crescente richiesta di funzioni sofisticate per la gestione del-

la potenza, tra cui la messa in sequenza delle alimentazioni con

velocità di rampa (ramp rate) controllate come richieste dagli

FPGA di grandi dimensioni, unita alla necessità di ridurre sia

l’occupazione di spazio a bordo della scheda, sia il numero di

componenti esterni sono i fattori che nel corso dell’ultimo de-

cennio hanno indotto i progettisti dei sistemi di potenza a consi-

derare con sempre maggiore attenzione il passaggio alla poten-

za digitale. Questo passaggio è stato favorito dalla disponibilità

di circuiti integrati per la gestione della potenza realizzati da

aziende come Texas Instruments che nel 2002 ha introdotto il

primo kit di sviluppo per DSP destinato espressamente al mon-

do degli alimentatori.

Negli ultimi cinque anni la sempre più massiccia adozione del

concetto di “digital power” è ascrivibile in larga misura allo

sviluppo di moduli convertitori di potenza digitali standard. Il

capostipite è il convertitore di bus intermedio BMR453 introdot-

to da Ericsson nel 2008. I convertitori digitali hanno molto in

comune con le loro controparti analogiche, compresi i commu-

A

L VIA

I PRIMI STANDARD

Il consorzio AMP ha annunciato di recente l’introduzione dei primi standard il cui

obbiettivo è definire specifiche meccaniche ed elettriche comuni per lo sviluppo

di tecnologie avanzate di conversione della potenza, da utilizzare in sistemi di po-

tenza distribuiti. Questi standard si riferiscono a convertitori di bus dc-dc avanzati

e convertitori PoL (Point-of-Load) digitali. Per i convertitori PoL digitali il consorzio

ha definito due standar: la specifica ‘microAMP’ copre gli alimentatori con correnti

nominali comprese tra 20 e 25A in configurazione verticale orizzontale, mentre la

specifica ‘megaAMP’ definisce i requisiti per le unità con correnti nominali comprese

tra 40 e 50A, sempre in configurazione verticale e orizzontale. Per i convertitori di

bus dc-dc avanzati, la specifica ‘ABC-ebAMP’ è destinata a moduli brick di dimen-

sioni pari a 58,42 x 22,66 mm con potenze nominali comprese tra 264 e 300W. Per

gli alimentatori brick di dimensioni uguali a 58,42 x 36,83 mm e potenze comprese

tra 420 e 468W, il consorzio ha definito lo standard ‘ABC-qbAMP’. Questi standard

definiscono gli ingombri meccanici, le caratteristiche e i file di configurazione.

Fig. 1 – Le prime soluzioni di potenza di tipo distribuito utilizzavano

una conversione a due stadi che prevedeva una tensione di bus inter-

medio di -48V e una singola uscita a 12 o 5V