Un’elettronica sempre più “flessibile”
I circuiti flessibili stanno ormai diventando un “must” in moltissime applicazioni, e tendono a imporsi anche in ambiti tipicamente dominati dai circuiti rigidi; parallelamente, anche i componenti elettronici possono essere realizzati in versioni flessibili grazie alla “plastic electronics”
Fino ad alcuni anni fa l’impiego dei circuiti stampati flessibili era ristretto ad applicazioni piuttosto limitate, ma ora ci si sta rendendo conto che in talune applicazioni possono essere estremamente utili vantaggi quali il peso ridotto, l’adattabilità alla forma del prodotto finito, la maggior insensibilità a urti e vibrazioni, la possibilità di realizzare connessioni flessibili nonché l’indiscussa leggerezza del circuito flessibile.
Oggi sono disponibili molteplici soluzioni, che vanno dai circuiti flessibili a singolo strato a quelli multistrato, dai supporti di semplice interconnessione ai circuiti più recenti in grado di ospitare la saldatura dei componenti (attivi e passivi) su entrambi i lati.
Già tre anni fa in occasione della Smart Systems Integration Conference a Bruxelles Imec (in collaborazione con i laboratori dell’Università di Ghent) aveva presentato un processo di integrazione 3D in grado di permettere la realizzazione di circuiti elettronici con uno spessore di soli 60 micrometri. Denominata UTCP (Ultra Thin Chip Package) la tecnologia era stata sviluppata con l’obiettivo di ottenere sistemi indossabili per il monitoraggio medico e il monitoraggio corporeo.
Al fine di permettere il fissaggio su substrati flessibili, i chip a semiconduttore debbono essere ridotti in spessore fino a non superare i 25 micron, per poi essere incapsulati in package ultrasottili che possono essere saldati su supporti flessibili. Il circuito dimostrativo prodotto da Imec (Fig. 1) ospita un microcontroller con A/D converter, un amplificatore low-power per i biopotenziali e un transceiver radio: il tutto è utilizzabile per il rilevamento di elettrocardiogrammi (ECG) o di elettromiogrammi (EMG).
La stessa Imec, l’anno successivo, ha realizzato un “microprocessore flessibile” su substrato plastico (Fig. 2) realizzato interamente con materiali organici (pentacene per i componenti attivi, dielettrico organico e substrato plastico) tranne i collegamenti e le metallizzazioni in oro. Il chip presenta un parallelismo di 8 bit e utilizza 4000 transistor, con un costo produttivo è pari a solo un decimo rispetto alle classiche tecnologie al silicio.
Le prestazioni – quantificabili in sole 6 operazioni al secondo – non sono certo eccellenti, ma più che sufficienti per molte applicazioni di semplice monitoraggio o controllo ambientale. Imec, in collaborazione con Holst Centre, continua le ricerche anche su circuiti su substrato plastico di maggiore complessità (Fig. 3).
Nuove prospettive
In effetti, a ben pensarci, la prospettiva di trasformare i rigidi supporti dei circuiti elettronici (i circuiti stampati o PCB) in circuiti flessibili offrirebbe tutta una serie di possibilità, che vanno ad esempio dalla realizzazione di dispositivi indossabili a pannelli solari che si adattano a ogni oggetto, da palmari e smartphone che si possono avvolgere al braccio a sistemi di monitoraggio che si adattano alla pelle, dai display touch-screen fissati agli indumenti a batterie che si adattano alle applicazioni, dai sistemi di illuminazione flessibili ai sensori biologici.
Inoltre, molte realizzazioni che non necessitano di grosse potenze di calcolo né di elevate velocità di elaborazione potrebbero essere realizzate interamente con materiali plastici, compresi i dispositivi attivi, a tutto vantaggio della flessibilità e soprattutto dei costi di realizzazione. Infatti, molti circuiti su film plastico possono essere realizzati tramite procedimenti analoghi alla comune stampa tramite stampanti a getto o a trasferimento a contatto.
Le ricerche di mercato sulle prospettive e le possibilità applicative offerte dall’elettronica flessibile d’altronde parlano chiaro: si parla infatti di passare da un mercato attuale di 176M$ del 2013 sino a 950M$ nel 2020, con un CAGR del 27%, secondo PRNewswire, con la prospettiva di affiancarsi all’elettronica tradizionale ma partendo da un’ottica diversa, orientandosi verso nuovi segmenti industriali e nuove categorie applicative che certamente non potrebbero essere soddisfatte dalle tecnologie tradizionali.
Più di una sono le società che operano nel settore dell’elettronica flessibile, e molte altre stanno entrando in questo promettente mercato. American Semiconductor, ad esempio, ha messo a punto un processo denominato FleX che permette di depositare circuiti Cmos monocristallini con interconnessioni multistrato su supporti flessibili (Fig. 4).
Questo processo permette di realizzare wafer di silicio con uno spessore effettivo di soli 2000 angstrom, ovvero 200 nanometri. I circuiti così realizzati possono essere facilmente avvolti, anche con piccoli raggi di curvatura, come mostrato in figura 5, oppure montato su supporti anche irregolari.
Imperativo: flessibilità
In questa prospettiva, le ricerche tese a migliorare le prestazioni dei dispositivi su base organica, a stabilizzare il loro comportamento e a ottimizzare il processo produttivo si susseguono. Ad esempio, i ricercatori della Rice University sono riusciti a realizzare una memoria non-volatile flessibile e trasparente (Fig. 6) che si lascia attraversare dal 90% della luce visibile e consuma un’energia 10 volte inferiore rispetto alle tecnologie tradizionali, e si basa sull’associazione fra grafene e ossido di silicio, che si è scoperto può fungere da “interruttore”.
È altresì recente l’annuncio del risultato della fruttuosa collaborazione fra STMicroelectronics, l’Università di Catania e la Eindhoven University of Technology per lo sviluppo di transistor organici realizzati presso i laboratori CEA-Liten su substrato plastico.
Fra i circuiti realizzati con transistor organici vi è ad esempio un A/D converter (Fig. 7) realizzato con tecniche di screen-printing. Il circuito integra 100 transistor di tipo p e n accanto a componenti resistivi organici.
La risoluzione è di 4 bit e la conversione viene effettuata alla velocità di 2 Hz. Sebbene tale velocità di conversione possa risultare insufficiente per le attuali applicazioni, uno degli impieghi ipotizzati potrebbe essere quello ad esempio di utilizzare tale circuito flessibile per inserirlo nell’involucro degli alimenti al fine di monitorare l’aumento di acidità dovuto al deterioramento del cibo, in modo che il venditore sia avvisato dell’avvicinarsi della scadenza di conservazione. Ancora, può essere utilizzato per monitorare la temperatura interna di un congelatore, o per seguire i cicli di conservazione delle derrate alimentari, il tutto con costi drasticamente ridotti rispetto a quelli dei dispositivi al silicio.
Presso i laboratori ETH di Zurigo sono state messe a punto delle tecniche costruttive adeguate alla realizzazione di circuiti su substrati plastici flessibili, che utilizzano transistor a film sottile TFT basati su materiali quali IGZO (Indium-Gallium-Zinc Oxide), che possono essere depositati a temperatura ambiente e che evidenziano una mobilità di oltre 10 cm2/Vs. La cella unitaria dei circuiti di test realizzati da ETH è visibile in figura 8, mentre in figura 9 si può vedere la fase di test sul circuito sottoposto a flessione su piccolo raggio.
Una delle società impegnate in questo settore è Polyera, che utilizza tecniche produttive che operano partendo da soluzioni polimeriche, a temperature inferiori a 120 °C. La società è in grado di produrre circuiti su base organica in tecnica complementare, utilizzando sia transistor a canale N sia transistor a canale P.
Anche un’altra società, l’inglese SmartKem Ltd, ha realizzato circuiti flessibili di tipo organico che utilizzano transistor TFT con canali da 4 micrometri, caratterizzati da mobilità di 4.0cm2/Vs.
Un’altra applicazione dei dispositivi elettronici flessibili su base plastica è stato individuato dalla collaborazione fra Plastic Logic e ISORG, che intendono commercializzare sensori di immagine flessibili. La collaborazione si avvale dell’attività di deposizione tramite stampa di fotorivelatori organici da parte di ISORG su backplane di transistor TFT sviluppato da Plastic Logic, al fine di creare un sensore flessibile da 4×4 centimetri di area attiva, con una risoluzione di 9 mila pixel, visibile in figura 10. Gli impieghi possibili riguardano l’ambito medico, le diagnosi biologiche, i sistemi di sicurezza (ad esempio il fingerprint scanning), il controllo ambientale, gli impieghi industriali e i display touchscreen per gli impieghi home e consumer.
Display flessibili
Nell’ottica di migliorare le prestazioni dei dispositivi basati sull’elettronica plastica, i laboratori dell’Università della Pennsylvania hanno scoperto che è possibile ottenere dispositivi flessibili (Fig. 11) a elevate prestazioni a costi accettabili. In particolare, si è visto che depositando particelle di seleniuro di cadmio su plastica flessibile si possono ottenere caratteristiche ottimali, ovvero valori di mobilità 20 volte superiori al silicio amorfo, utilizzato ad esempio nei display dei dispositivi portatili.
Un ulteriore vantaggio è quello di poter essere costruiti usando temperature sensibilmente più basse, con una deposizione dei nanocristalli a temperatura ambiente e una ricottura a una temperatura compatibile con l’impiego dei supporti in materiale plastico.
Plastic Logic, in collaborazione con l’Università di Cambridge, ha presentato al CES di quest’anno una nuova tecnologia per la produzione di display flessibili. I ricercatori prevedono l’uso del grafene per i backplane conduttivi trasparenti nei display LCD e OLED. In parallelo, i laboratori hanno pianificato ricerche su materiali quali allotropi di carbonio, cristalli multistrato e nanomateriali ibridi. Il tablet a display plastico presentato al CES (Fig. 12) è di tipo touchscreen da 10.7” ed è equipaggiato con un processore Intel della serie Core i5 sviluppato appositamente.
Al medesimo CES di Las vegas Samsung ha presentato uno smartphone a schermo flessibile (Fig. 13) che impiega OLED su substrato plastico. Ricerche parallele prevedono l’impiego degli OLED per l’illuminazione a basso consumo (Fig. 14), come ad esempio previsto dal progetto europeo IMOLA (Intelligent light Management for OLED on foil Applications) nell’ambito del 7° framework program per le ICT. Il consorzio IMOLA comprende Imec, Holst, Philips, NXP, Hanita Coatings, Henkel, l’Università di Zagabria e il Centro Ricerche Plast-Optica italiano.
Energy harvesting e batterie flessibili
Un altro importante ambito di ricerche relativo ai dispositivi elettronici flessibili riguarda la cattura dell’energia, soprattutto quella solare. Da vari anni infatti molte aziende e centri di ricerca stanno lavorando all’ottimizzazione dei pannelli di tipo OPV (Organic Photo Voltaic) a basso costo, molti dei quali vengono realizzati su supporti flessibili (Fig. 15).
Altre società come ad esempio Twin Creeks (ora GT Advanced Technologies) utilizzano wafer di silicio ultrasottili (15-20 micron) che possono essere facilmente piegati per adattarsi a varie superfici.
Durante la conferenza Energy Harvesting and Storage Europe di Berlino dello scorso anno sono stati presentati vari lavori di ricerca riguardanti i materiali termoelettrici e piezoelettrici, anche su supporti flessibili.
Non solo, ma vi sono ormai vari studi circa la possibilità di realizzare batterie flessibili di elevata affidabilità, ideali in moltissime applicazioni.
In Italia sono attive varie società e Centri di Ricerca nel settore dell’elettronica flessibile. In particolare, vale la pena di segnalare che la Fondazione Bruno Kessler di Trento presiede al coordinamento del progetto CONTEST (COllaborative Network for Training in Electronics Skin Technology) finanziato dalla Commissione Europea. Questo progetto – che prevede il coinvolgimento di varie realtà italiane ed estere – ha preso avvio il 1° ottobre 2012 e durerà 4 anni, con un finanziamento di 3,81 milioni di Euro.
Paolo De Vittor
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