Gli USA “tagliano” i chip alla Russia: cui prodest?
In risposta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’amministrazione Biden ha rafforzato i controlli sulla catena di fornitura dei semiconduttori per limitare l’accesso russo alle tecnologie usati nelle apparecchiature militari. Oltre a radicali restrizioni relative all’ambito militare, il Governo degli Stati Uniti imporrà analoghe misure relative alle tecnologie sensibili prodotte in Paesi stranieri che utilizzano software, tecnologie o attrezzature di origine statunitense”. Le restrizioni riguardano semiconduttori, sensori, laser, telecomunicazioni, sistemi per la navigazione, avionici, marittimi e tecnologie di cifratura. Per quanto riguarda i semiconduttori la Russia, secondo i dati forniti da Wsts non è un grande “consumatore” diretto di chip: gli acquisti di semiconduttori di questo Paese sono meno dello 0,1% degli acquisti fatti a livello mondiale.
TMSC è una delle prime aziende ad aver aderito al pacchetto di sanzioni proposto dagli Stati Uniti, mentre secondo un report di anche altre aziende giapponesi, taiwanesi e sud-coreane hanno intenzione di procedere in questo senso.
Problemi di approvvigionamento
Se il conflitto dovesse durare per oltre sei mesi, si potrebbero però verificare problemi di forniture per quanto riguarda alcuni componenti essenziali per la produzione dei chip, alcuni dei quali provengono proprio dai due Paesi in conflitto. La Russia a esempio è uno dei principali esportatori di erbio, una terra rara essenziale per il drogaggio dei materiali utilizzati nelle tecnologie di punta come 5G/6G e quantum computing. Senza dimenticare che circa il 35% del palladio usato dalle fabbriche Usa anche per prodotti come memorie e sensori, arriva dalla Russia. L’Ucraina, dal canto suo, controlla oltre il 50% della fornitura globale di neon utilizzato nei processi litografici. A questo punto vale la pena ricordare che dopo la guerra di Crimea del 2014 il prezzo del neon è schizzato del 600% (fonte: Fortune).
In ogni caso, complici le tensioni del passato e la recente pandemia, i chipmaker hanno imparato a diversificare le loro supply chain per cui, almeno nell’immediato, non dovrebbero esserci problemi all’orizzonte.
Filippo Fossati
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