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EON

ews

n

.

580

-

novembre

2014

11

nibilità a diventare in seguito

i responsabili del progetto

all’interno di un grande grup-

po. Inevitabilmente quindi c’è

una condivisione di interessi.

Nel campo dell’ICT il per-

corso è diverso. L’obiettivo è

quello di generare un certo

numero di utenti sui propri siti

o applicazioni, che possano

interessare a grandi gruppi

del settore che, sfruttando le

sinergie con il proprio busi-

ness, riescano a farli crescere

ancora. Negli Stati Uniti una

exit nell’ICT è facile perché

queste attività sono ben com-

prese; da noi invece i grandi

gruppi svolgono più un’attività

di consulenza che di innova-

zione. Per questo dobbiamo

cercare le uscite anche nella

Silicon Valley.

In Italia le start-up con un og-

getto di interesse per il set-

tore manifatturiero non sono

molte. Prevalgono sempre

le innovazioni legate all’ICT.

Come mai ci sono poche pro-

poste innovative in questo

ambito?

A mio parere perché l’inve-

stimento nel manifatturiero

richiede cifre più importanti

con ritorni più diluiti nel tem-

po. Un fondo di venture ca-

pital deve investire e uscire

entro 10 anni mentre a volte

il manifatturiero non riesce a

garantire questi tempi. L’al-

tra considerazione è che nel

manifatturiero gli investimenti

nelle nuove start-up vengono

effettuati direttamente da al-

tre aziende più grandi (anche

con 30-50 milioni di euro di

fatturato) senza che ciò venga

in qualche modo pubblicizza-

to o rilevato statisticamente.

Nella mia esperienza ho co-

nosciuto aziende che hanno

come “allevato” delle piccole

realtà imprenditoriali (maga-

ri di subfornitori, o di giovani

creativi), supportandole con

l’offerta di spazi o con tratta-

menti di favore. Forse è anche

a 50mila euro fino a 100mila

euro.

Per le start-up oggi il proble-

ma principale non è quello di

sviluppare un prodotto inte-

ressante ma quello di vender-

lo. Il cliente industriale infatti

è dubbioso, non si fida mol-

to dei servizi di una start-up,

o meglio teme che la nuova

azienda non duri nel tempo.

In questo modo per le start-up

scarseggiano le commesse e

la crescita stenta a decollare.

Questo aspetto differenzia

molto l’esperienza delle start-

up italiane rispetto a quella

delle start-up della Silicon

Valley, dove l’industria è più

proiettata sul futuro.

Quali cambiamenti riscontrate

nel panorama degli investitori?

Stanno aumentando gli inve-

stimenti informali, cioè quelli

dei business angel, e quelli

di ex manager e imprenditori

che, oltre a investire, sup-

portano anche direttamente

la nuova impresa. Di nuovo

ci sono pure le piattaforme

di crowd funding nelle qua-

li possono investire anche i

privati con piccole somme.

Al momento in Italia ci sono

due piattaforme autorizzate

da Consob a svolgere questa

attività. Di conseguenza, inve-

stitori più istituzionali, come

il venture capital hanno diffi-

coltà a effettuare investimenti

seed, e devono spingersi su-

gli investimenti più consistenti

necessari nella fase di lancio

commerciale dei prodotti e di

crescita dell’azienda. I nostri

tagli medi oggi si colloca-

no intorno ai 400mila euro e

raggiungono i 700-800mila.

Questo vale soprattutto per le

start-up dell’ICT, dove inizia-

tive in genere snelle e veloci

trovano molti incubatori d’im-

presa disponibili per le fasi

iniziali.

Nelle biotecnologie, dispositi-

vi medicali e farmaci si conti-

nua a intervenire anche nelle

fasi molto iniziali del progetto

e dello sviluppo tecnologico.

Il percorso evolutivo di una

start-up in genere termina

con l’autonomia gestionale

e finanziaria dell’impresa e/o

con la sua incorporazione in

una società più grande. Come

si prepara questo momento?

Il tema delll’exit, cioè dell’u-

scita dell’investitore esterno,

in Italia è uno dei problemi. Lo

è in modo particolare in que-

sto momento critico dell’eco-

nomia, in cui tutti fondi sono

in attesa di potere vendere la

propria partecipazione.

L’uscita viene valutata fin

dall’inizio, prima di effettuare

l’investimento. Nella selezione

si dà attenzione a progetti che

siano adatti a essere ingloba-

ti in altre realtà o comunque

a essere appetibili per colla-

borazioni future; questo per

garantirsi che il fatturato sia

sufficiente a liquidare i soci

fondatori. Valutiamo tutto fin

dall’inizio e definiamo quindi

dei contratti di investimento

che comprendano delle re-

gole per facilitare questa eve-

nienza.

Nei campi delle biotecnologie,

farmaci e dispositivi medicali,

l’obiettivo è quello di sviluppa-

re della proprietà intellettuale

o anche dei contatti commer-

ciali (fatturato) che possano

essere ceduti totalmente a

grandi gruppi, che abbiano

reti distributive internazionali,

già pronte e replicabili. Gli im-

prenditori della start-up devo-

no mostrare la propria dispo-

R

eport

continua a pag.12

Oggi il

problema

principale

non è quello

di sviluppare

un prodotto

interessante

ma quello di

venderlo

AdottUp

ll

programma AdottUp

nasce con l’intento di mettere in

contatto aziende fortemente tecnologiche e innovative

ma prive di esperienze imprenditoriali, quali sono in

genere le start-up, con le PMI che necessitano di innova-

zione e possono offrire la loro esperienza pluriennale del

mercato.

Il programma AdottUp è realizzato da Piccola Industria

in collaborazione con l’Area Politiche Territoriali, Innova-

zione e Education di Confindustria, i Giovani imprenditori

e gli esperti delle Associazioni del Sistema e il Gruppo

Intesa Sanpaolo, che è partner del progetto nell’ambito

dell’accordo “Una crescita possibile”.