Bit quantici legati allo spin degli elettroni
Lo spin degli elettroni promette di far nascere i qubit che potranno dar vita al calcolo quantico solo a patto di riuscire a intrappolarli in forme stabili e ingegnerizzabili
Le interazioni fra gli elettroni e i fotoni sono di primaria importanza nella fisica quantistica perché governano molti principi fondamentali come, ad esempio, l’effetto fotoelettrico e l’effetto Compton. Perciò sono da tempo studiate anche per sperimentare tecnologie che possano contribuire a perfezionare i dispositivi elettronici e molte ricerche stanno oggi provando a ingegnerizzare l’interazione fra i fotoni e lo spin degli elettroni.
Fig. 1 – Colpendo gli elettroni con un fascio di fotoni polarizzati si può assegnare loro il medesimo spin e quindi farli diventare dei bit quantici, o qubit
In pratica, gli elettroni girano su se stessi e perciò l’unico grado di libertà che possiedono è lo spin, ossia il momento angolare dovuto alla rotazione ma, dato che hanno anche una carica elettrica, ne consegue che si genera un momento magnetico che si può rivelare e può essere positivo o negativo, a seconda del verso della rotazione.
Più precisamente si parla di “spin up” se il momento magnetico è positivo e “spin down” se è negativo o anche “spin su” e “spin giù”, ma il legame fra il momento magnetico e lo spin caratterizza gli elettroni, al punto che si può parlare di un vero e proprio sistema a due livelli. Se, per esempio, si attribuisce il valore 0 allo spin up e l’1 allo spin down, allora si è creato un qubit, o bit quantico, ossia un simbolo elementare di natura quantica con cui mettere insieme delle informazioni binarie, proprio come si fa con i simboli realizzati con due valori di tensione.
Ci sono molte ricerche in corso sull’argomento, ma va detto subito che sono ancora ben lontane dal poter concepire le “quantum computation unit” o unità di calcolo quantiche apparse in alcuni roboanti annunci. La criticità è legata al limitato tempo di vita delle due condizioni dello spin che possono decadere a causa delle interazioni degli elettroni con gli atomi circostanti e soprattutto con le lacune nei materiali semiconduttori.
Ciò significa che non è affatto facile formare stringhe di qubit, o qubyte, controllabili e riconoscibili e perciò le ricerche si sono attualmente spostate in maniera più concreta nel cercare di intrappolare in qualche modo gli elettroni con lo stesso spin e ottenere dei qubit o dei qubyte più stabili, proprio perché intrappolati, o “entangled”. Quando si otterranno dei bit quantici più mansueti, il passo successivo sarà lo sviluppo delle tecniche capaci di elaborarli e, per esempio, usarli per memorizzare enormi quantità di dati in dimensioni dell’ordine dei micron, oppure trasferirli su guide d’onda che potrebbero dare vita alle comunicazioni quantiche.
Elettroni agli ordini dei fotoni
Una tecnica che sembra promettere bene consiste nell’utilizzare i fotoni o più precisamente la loro polarizzazione per far commutare lo spin degli elettroni e contemporaneamente intrappolarli (“entanglement”). È noto che il campo elettrico e il campo magnetico dei fotoni sono ortogonali rispetto alla direzione del moto e possono avere due stati di polarizzazione genericamente indicati con H e V (orizzontale e verticale). Tuttavia, la polarizzazione dei fotoni è oggi controllabile più facilmente rispetto allo spin degli elettroni e, inoltre, le due particelle possono interagire facilmente, purché soddisfino tutte le leggi di conservazione che le riguardano.
L’idea consiste nell’addomesticare lo spin di un gruppo di elettroni colpendoli con un fascio di fotoni che abbiano la medesima polarizzazione. In altri termini, è possibile utilizzare due fasci di fotoni polarizzati ortogonalmente per sintonizzare tutti gli elettroni colpiti su uno dei due spin e perciò assegnare loro due valori binari quantici, o due qubit. Inoltre, allo stesso modo, si può usare un fascio di fotoni per individuare lo stato dello spin degli elettroni, anche con risoluzione su poche particelle.
Spin a comando laser
Due team di ricercatori hanno sviluppato indipendentemente l’uno dall’altro una tecnica che consente di assegnare lo spin a un elettrone, intrappolandolo in un cristallo di semiconduttore e colpendolo con un laser impulsato, in modo tale che poi per emissione spontanea faccia fuoriuscire un fotone e nel contempo assuma uno stato di spin predeterminato. La differenza sostanziale fra i due lavori è che il primo team lega lo stato dello spin al colore del fotone e il secondo alla sua polarizzazione. In pratica, l’elettrone viene eccitato con un impulso laser di durata inferiore a 10 picosecondi e lunghezza d’onda di 2,2 µm e quest’energia viene assorbita e utilizzata dall’elettrone per diseccitarsi, rilasciando un fotone e cambiando lo spin.
Nei due lavori lo spin su o giù è rispettivamente legato alla lunghezza d’onda del fotone nel blu o nel rosso oppure alla sua polarizzazione verticale o orizzontale, dopodiché lo stesso impulso laser rimuove il fotone, lasciando l’elettrone intrappolato con lo spin desiderato e cioè creando un qubit stabile e riconoscibile dalle caratteristiche del fotone fuoriuscito. Nel primo lavoro, inoltre, sono riusciti anche a riconvertire questi fotoni alla lunghezza d’onda di 1560 nm, adatta per le comunicazioni ottiche. Essendo il substrato di InAs, sembra che il tempo di vita dello stato di spin sia relativamente lungo e sufficiente per sperimentare qualche applicazione. Il primo team è guidato da Kristiaan De Greve del Department of Physics della Harvard University (Cambridge, Massachussetts) mentre il secondo da W.B.Gao dell’Institute of Quantum Electronics di Zurigo ed entrambi hanno pubblicato i loro risultati sullo stesso numero di Nature (Riff. 1 e 2).
Spin pilotati in tensione
Nella Henry Samueli School of Engineering and Applied Science (HSSEAS) dell’Università della California di Los Angeles (UCLA) studiano da qualche anno come manipolare lo spin degli elettroni e proprio mentre approfondivano le ricerche sulle memorie magnetoresistive hanno concepito un nuovo interessante modo di intrappolare gli spin in onde guidate che hanno chiamato “spin wave bus”. In pratica, capitanati dal prof. Kang L.Wang, i ricercatori dell’Ucla hanno deposto uno strato di nickel magnetostrittivo sopra un substrato di perovskite (ossido di titanio e calcio, CaTiO3) piezoelettrica e poi vi hanno legato sopra una guida d’onda ferroelettrica di Ni/NiFe larga 5 µm.
Quindi hanno applicato tensione alternata al piezoelettrico che di conseguenza ha generato un campo elettrico che a sua volta ha provocato un deformazione alternata sullo strato magnetico e cioè un’anisotropia magnetica, la quale ha costretto a sua volta tutti gli elettroni presenti nella guida d’onda ferroelettrica a sintonizzare il loro spin sullo stesso momento magnetico. Il risultato è un’onda di elettroni con medesimo spin larga circa 4 µm che può essere controllata applicando tensione dall’esterno. Questo lavoro è pubblicato sul numero 104 di febbraio di Appl. Phys Lett (Rif. 3).
Spin super
Shim e Tahan (Rif. 4) stanno portando avanti una lunga ricerca sugli spin degli elettroni del silicio quando questo si trova in forma cristallina ossia allo stato purissimo e lo fanno nel Laboratory for Physical Sciences che fa parte del Joint Quantum Institute (JQI) insieme al Deparment of Physics dell’Università del Maryland e al National Insitute of Standard and Technology (NIST). In pratica, il silicio cristallino ha proprietà superconduttive perché nei cristalli di silicio gli elettroni si muovono molto più facilmente dato che hanno meno probabilità di subire interferenze.
Ciò significa che è possibile osservare lo spin degli elettroni e anche quello dei nuclei con più tempo a disposizione dato che hanno una vita notevolmente più lunga e, inoltre, c’è la possibilità di utilizzare gli elettroni liberi come qubit stabili capaci di muoversi con le stesse regole del normale silicio ma molto più velocemente e consumando meno energia. I ricercatori hanno realizzato degli anelli di silicio cristallino capaci di ospitare i qubit e poi li hanno concatenati infrapponendo loro delle giunzioni di Josephson che possono mantenere isolati i qubit oppure farli passare per effetto tunnel da un anello all’altro. Queste catene sono pertanto dei fili di silicio superconduttivo capaci di rappresentare delle stringhe di qubit stabili ma modificabili con tecniche tuttora in corso di sperimentazione.
Riferimenti
Rif. 1 – Quantum-dot spin-photon entanglement via frequency downconversion to telecom wavelenght, Nature 491 – 15/11/2012, http://dx.doi.org/10.1038/nature11577
Rif. 2 – Observation of entanglement between a quantum dot spin and a single photon, Nature 491 – 15/11/2012, http://dx.doi.org/10.1038/nature11573
Rif. 3 – Electric-field-inducted spin wave generation using multiferroic magnetoelectric cells, Appl.Phys.Lett 104 – 25/2/2014 – http://dx.doi.org/10.1063/1.4865916
Rif. 4 – Bottom-up superconducting and Josephson junction devices inside a group-IV semiconductor, Nature Communications 5 – 2/7/2014, http://www.nature.com/ncomms/2014/140702/ncomms5225.htm
Lucio Pellizzari
Contenuti correlati
-
Un generatore di segnali disegnato appositamente per il controllo completo di Qubit
Zurich Instruments ha presentato SHFSG, il primo generatore di segnali appositamente progettato per Qubit Superconduttivi e Spin Qubit. SHFSG supporta frequenze in uscita dalla DC fino a 8.5 GHz senza la necessità di calibrazione del mixer, e...