Alimentatori per sistemi Start & Stop in applicazioni automotive

Sempre più diffuse, questi sistemi propongono sfide ingegneristiche di rilievo per l’elettronica di bordo

Pubblicato il 28 agosto 2013

Al fine di ridurre il consumo di carburante, alcuni produttori di automobili stanno introducendo la funzionalità “Start & Stop” nei loro modelli di prossima generazione. Questi sistemi innovativi spengono il motore quando il veicolo è fermo e lo riaccendono automaticamente quando il piede si sposta dal pedale del freno a quello dell’acceleratore. Ciò aiuta a ridurre il consumo di carburante nella guida in città e nel traffico a singhiozzo delle ore di punta.

Questi sistemi presentano tuttavia delle sfide ingegneristiche uniche per l’elettronica di bordo in quanto, al riavvio del motore, la tensione della batteria può scendere anche al di sotto di 6,0 V. Inoltre, i moduli elettronici di potenza sono normalmente dotati di un diodo di protezione in configurazione inversa per proteggere i circuiti nel caso in cui il veicolo sia avviato con la batteria di un’altra automobile invertendo i cavi.

Questo diodo produce un’ulteriore caduta di 0,7 V rispetto alla tensione della batteria, lasciando ai circuiti a valle un tensione di soli 5,3 V o meno. Di conseguenza, molti circuiti che richiedono un’alimentazione di 5 V rischiano di non funzionare correttamente a causa del crollo della tensione di alimentazione.

Una soluzione è rappresentata da un alimentatore tipo boost, che è in grado di fornire un’uscita stabilizzata ad una tensione maggiore di quella dell’ingresso. Molti produttori impiegano attualmente quache tipo di alimentatore boost all’ingresso del moduli elettronici per farli funzionare correttamente anche durante le fasi di calo della tensione della batteria causate dal sistema start e stop.

Come accade per la maggior parte dei problemi ingegneristici, ci sono diversi modi per risolvere una criticità. Se la tensione della batteria cala a 6 V, la soluzione più semplice ed immediata è quella di trovare un regolatore lineare a bassa caduta di tensione che garantisca una caduta inferiore a 0,3 V. Questa soluzione funziona per moduli a bassa corrente ma, quando la richiesta di corrente dei moduli aumenta significativamente, le alternative si esauriscono rapidamente.

Un approccio alternativo consiste nel sostituire il classico diodo a giunzione PN utilizzato per la protezione dei circuiti dall’inversione di polarità della batteria con un diodo Schottky o con un MOSFET a canale P. Un diodo Schottky è caratterizzato da una caduta di tensione diretta pari a circa la metà di un raddrizzatore classico, risparmiando così alcuni decimi di volt. Il passaggio ad un diodo Schottky è abbastanza indolore, in quanto, essendo normalmente incapsulato nello stesso package di un diodo PN, si evita la necessità di modificare il disegno del circuito stampato. Invece, un MOSFET a canale P richiede una modifica del circuito stampato e l’aggiunta di una circuiteria addizionale.

Figure 1 - Reverse Battery with P-FET

Fig. 1 – Protezione dall’inversione di polarità della batteria con un P-FET

La figura 1 illustra i tre componenti che sono necessari: un P-FET, un diodo Zener ed un resistore. Il P-FET deve essere dimensionato in modo da sopportare le tensioni applicate all’ingresso del modulo, assieme alle correnti di carico richieste. Inoltre, è importante considerare gli aspetti termici del sistema, in quanto la dissipazione di potenza nel FET è pari al prodotto del quadrato della corrente che vi scorre per la resistenza di canale. Il diodo Zener protegge l’ossido di gate del MOSFET da sovratensioni.

La maggior parte dei P-FET può sopportare tensioni di 15-20 V tra il gate ed il source e quindi lo Zener deve essere scelto in modo da tagliare prima di questo limite. Anche la resistenza, che porta a massa il gate per accendere il P-FET, deve essere dimensionata adeguatamente. Infatti, non può essere troppo piccola per evitare che una corrente troppo elevata scorra nello Zener, causando una dissipazione di potenza non trascurabile in esso. D’altro canto, non può essere neppure troppo grande, altrimenti il P-FET potrebbe non accendersi completamente vanificando lo scopo di questa topologia, che è proprio quello di ridurre il più possibile la caduta di tensione tra drain e source.

Probabilmente una singola configurazione o una combinazione degli schemi descritti sopra si adatterà ad ogni specifica applicazione. Ma cosa succede se la tensione di ingresso scende sotto 5 V? Alcuni costruttori devono fare i conti con tensioni di 4,5 V durante l’avvio del motore “a freddo”. In queste condizioni è necessario impiegare un alimentatore switching in modo da incrementare la tensione d’uscita. Le topologie più comuni di alimentatori switching sono il boost, il buck/boost e l’alimentatore SEPIC.

Figure 2 - Boost Supply

Fig. 2 – Varie topologie di alimentatori step-up (elevatori di tensione)

Il boost impiega un solo induttore, un N-FET, un diodo ed un condensatore. Rappresenta lo schema più semplice, ma ha alcuni difetti. Se l’uscita viene cortocircuitata ad un altro nodo non vi è modo di proteggerla, in quanto vi è un cammino diretto dall’ingresso all’uscita. Inoltre, quando la tensione di ingresso cresce oltre la tensione di riferimento, non c’è modo di evitare che la tensione di uscita cresca a causa del cammino attraverso l’induttore ed il diodo.

Ad esempio questo si verifica durante il test di scarica che la maggior parte dei circuiti di bordo deve superare. In questo test un impulso di tensione viene applicato alla VIN. In un alimentatore boost questo impulso di sovratensione si propaga direttamente all’uscita. Così, se un impulso da 40 V si propaga sulla linea, ogni dispositivo collegato alla VOUT deve essere in grado di sostenere tale tensione.

Un’opzione alternativa è la configurazione buck/boost non invertente. Questa topologia impiega solo un induttore ed un condensatore, ma richiede due interruttori e due diodi. In ogni caso lo schema consente al progettista di evitare che la tensione di uscita cresca qualora la tensione di ingresso dovesse superare quella di uscita. Inoltre, garantisce la protezione dell’uscita dal corto circuito tramite l’apertura del primo interruttore (FET1). Lo svantaggio di questo schema risiede nell’efficienza, dovendo considerare anche le perdite di due diodi e di due commutatori.

Lo schema SEPIC (Single-Ended Primary-Inductor Converter) è molto simile al classico convertitore boost, a parte l’aggiunta di un induttore verso massa e di un condensatore di disaccoppiamento della DC. Il difetto in questo caso è l’aggiunta di un altro induttore e di un altro condensatore, ma il vantaggio è che non vi sono rischi in caso di corto circuito dell’uscita in quanto il condensatore di disaccoppiamento della continua è in serie all’uscita. L’uscita non è influenzata dalla tensione di ingresso, che così può essere maggiore o minore dell’ingresso.

Un aspetto da sottolineare è che in tutte le topologie switching mostrate è comunque necessario un circuito di protezione della batteria dall’inversione di polarità, in quanto la corrente può scorrere dalla massa verso la tensione di ingresso attraverso il diodo parassita di substrato del FET.

Vi sono molteplici problematiche da considerare nella progettazione di un alternatore Start & Stop. Questo articolo ha toccato solo il tema dell’alimentazione dei circuiti elettronici, ma ci sono altri problemi da affrontare. Ad esempio, durante i cali di tensione si verifica l’abbassamento dell’illuminazione sia interna che esterna.

Il pulsare dell’illuminazione interna può essere fastidioso ma non pericoloso, invece le variazioni delle luci dei freni e dei fari impattano direttamente sulla sicurezza e quindi quest’ultimi richiedono soluzioni di alimentazione alternative che le mantengano continuamente operative. Fortunatamente si stanno mettendo a punto delle soluzioni anche per questi problemi.

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Mark Scholten, senior field application engineer, ON Semiconductor