Accumulatori di energia elettrica, le alternative sul piatto
Il potenziamento delle batterie ricaricabili agli ioni di litio non è l’unica via. L’innovazione punta su supercapacitori e storage-on-chip
È sempre stupefacente osservare la progressione, il ritmo con cui micro e nanoelettronica continuano a dare alla luce nuovi SoC (System-on-Chip) ancora più miniaturizzati e capaci di racchiudere una potenza computazionale crescente. Su queste fondamenta gli ingegneri possono di volta in volta costruire sistemi embedded, applicazioni, dispositivi mobile sempre più sofisticati e ricchi di funzionalità.
C’è un punto critico che però contraddistingue tutti questi oggetti, ed è l’ancora troppo limitata autonomia di funzionamento. Device versatili come gli smartphone, ad esempio, oggi permettono di svolgere molte attività, ma la pecca sono i consumi di energia che, la sera, costringono l’utente a mettere il dispositivo sotto carica. Un altro esempio lo si ritrova considerando l’autonomia delle auto elettriche, ancora insufficiente in fatto di numero di chilometri percorribili con l’ausilio di questa sola fonte di alimentazione.
Ci vorrebbero batterie in grado di incorporare una maggior densità di energia. Sfortunatamente oggi non esistono, scrive il fisico Fred Schlachter in un recente articolo di opinione, pubblicato sulla rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti (Pnas), aggiungendo che la legge di Moore, valida per i semiconduttori, non è applicabile alla tecnologia delle batterie.
A differenza degli elettroni, che sono piccoli e non occupano spazio nei chip, le cui prestazioni sono semmai limitate dalla tecnologia litografica usata per fabbricare i circuiti integrati, gli ioni, che trasferiscono la carica nelle batterie, occupano spazio in anodi, catodi ed elettroliti.
Quindi, miglioramenti significativi nella capacità di storage dell’energia possono in sostanza essere raggiunti solo passando a una diversa tecnologia chimica. In effetti, osserva Schlachter, se si guarda all’ultimo decennio, i miglioramenti ottenuti nella densità di storage dell’energia per le batterie agli ioni di litio sono stati solo incrementali.
Verso innovazioni sostanziali
Le attuali batterie palesano i loro limiti man mano che il settore elettronico migra verso chip low-power bisognosi di nuove soluzioni di storage dell’energia, integrate e a basso costo. Soluzioni capaci non solo di ridurre i costi, ma anche gli ingombri di spazio e i rischi di malfunzionamenti o, peggio, di esplosioni o incendi, aumentando la sicurezza fisica e l’affidabilità dei dispositivi, ad esempio quando si tratta di studiare applicazioni nei veicoli elettrici, dove le dimensioni del pacco-batteria possono essere considerevoli.
Le batterie ricaricabili agli ioni di litio (Li-Ion) rappresentano ancora il sistema più diffuso di alimentazione nei dispositivi portatili; tuttavia nel mondo sono in corso varie attività di ricerca e sviluppo focalizzate su alcune aree tecnologiche, come gli ioni di magnesio, i supercapacitori (o supercondensatori) o le batterie litio-aria (lithium-air).
Molte di queste tecnologie chimiche dovrebbero portare vantaggi sostanziali, rispetto alle attuali batterie agli ioni di litio, e la società di ricerche e consulenza Navigant Research stima che quest’anno il fatturato generato dalle vendite di tutte le batterie evolute per le applicazioni in device portatili supererà 7,1 miliardi di dollari, crescendo fino a oltre 12,4 miliardi di dollari entro il 2023.
Una strada di ricerca interessante è quella che sta percorrendo Amprius, una start-up nata come spin-off dell’Università di Stanford, California, dove il team guidato dal professor Yi Cui è riuscito a realizzare anodi costituiti da strutture di nanofili in silicio che, rispetto agli anodi in carbonio (grafite), consentono di incrementare di circa dieci volte la densità di energia delle batterie agli ioni di litio. Anche il numero di cicli di carica/scarica può aumentare, fino a 6 mila, contro i circa 500 mediamente possibili con le tecnologie convenzionali.
Un altro campo di attività R&D importante è quello che riguarda gli studi sui supercapacitori, o supercondensatori, device in grado di combinare l’elevata capacità di storage delle batterie agli ioni di litio con l’abilità di rapida erogazione dell’energia, tipica dei comuni capacitori.
I supercapacitori, attualmente utilizzati in campo automobilistico, nel settore industriale o nei prodotti di elettronica di consumo, rispetto alle batterie ricaricabili (con bassa potenza specifica, lunghi tempi di carica, cicli di scarica/carica limitati e così via) si caratterizzano per un’elevata capacità e potenza specifica (possibilità di erogare elevate potenze elettriche in tempi dell’ordine di secondi), rapidità di carica, alta dinamicità e lento invecchiamento.
Possono funzionare come tecnologia complementare alle batterie o come sistema di accumulo alternativo e, grazie ai miglioramenti conseguiti nelle tecnologie costruttive, come ad esempio la fabbricazione basata sull’uso di strutture di nanotubi di carbonio, hanno potuto incrementare la loro densità di energia.
Storage-on-chip
L’incessante e rapido sviluppo di dispositivi elettronici e semiconduttori con geometrie sempre più ridotte sta facendo espandere anche la domanda di sistemi ultracompatti di storage dell’energia, direttamente on-chip. È questa domanda che stimola le menti degli scienziati, e le sperimentazioni attorno alla realizzazione di supercondensatori miniaturizzati (micro-supercapacitor).
Finora, la loro fabbricazione richiedeva l’uso di tecniche litografiche di gestione laboriosa e complessa e, come tali, difficili da applicare per la produzione di dispositivi di costo contenuto, adatti a un’ampia diffusione commerciale.
Quest’anno però sembra che alcuni ricercatori dell’Università della California, Los Angeles (UCLA) abbiano trovato una soluzione al problema: una tecnica che, utilizzando la tecnologia laser (LightScribe) di incisione delle etichette su CD e DVD, disponibile nei normali masterizzatori di fascia consumer, permette di fabbricare in serie micro supercapacitori grafene-based, in grado di compiere processi di carica/scarica da centinaia a migliaia di volte più rapidamente delle batterie standard.
Questi supercapacitori miniaturizzati sono poi integrabili in varie applicazioni e in dispositivi molto piccoli, come ad esempio i pacemaker di nuova generazione.
La tecnica di fabbricazione a basso costo scoperta può costituire la premessa per la produzione di massa dei micro supercapacitori, e trasformare la progettazione dei sistemi elettronici e delle applicazioni embedded in molti campi.
Come ha spiegato Richard Kaner – in UCLA professore di chimica e biochimica e, assieme al dottorando Maher El-Kady, autore delle sperimentazione – l’integrazione sui circuiti elettronici di unità per lo storage di energia risulta in genere ardua e spesso limita la miniaturizzazione dell’intero sistema, perché le dimensioni dei necessari componenti adibiti all’accumulo di energia si possono ridurre di poco e non sono adatte alle geometrie planari che caratterizzano la maggior parte dei processi di fabbricazione.
La semplicità della tecnica messa a punto, invece, consente di superare tale inconveniente: la procedura consiste infatti nell’applicazione di uno strato di plastica su un normale DVD, su cui viene successivamente deposto un sottilissimo foglio di grafene, costituito da un solo strato monoatomico di atomi di carbonio. Dopodiché il masterizzatore è in grado di incidere con estrema precisione su tale substrato i minuscoli circuiti di grafene.
Dal punto di vista delle caratteristiche specifiche, questi nuovi supercapacitori miniaturizzati risultano anche notevolmente pieghevoli e attorcigliabili e, come tali, potenzialmente utilizzabili per la realizzazione di dispositivi per lo storage di energia nelle applicazioni di ‘elettronica flessibile’ (flexible electronics), come i display arrotolabili, i televisori con schermo avvolgibile, le tecnologie di visualizzazione e-paper (electronic paper) o i vari dispositivi elettronici indossabili (wearable electronics).
Essendo poi strutture a stato solido, questi micro supercapacitori permetterebbero di rendere più flessibili e ridimensionabili anche tutti i nuovi dispositivi elettronici che li incorporano.
Ancora, usando la stessa tecnica descritta, i capacitori miniaturizzati possono essere fabbricati direttamente su un chip, diventando di utilizzo molto interessante anche per l’integrazione in sistemi MEMS (micro-electromechanical system) o CMOS (complementary metal-oxide semiconductor).
Un altro aspetto molto importante, legato alla natura intrinseca dei nuovi dispositivi, riguarda la durata del ciclo di vita. I micro supercapacitori in grafene, spiegano i ricercatori, si contraddistinguono per avere una durevolezza eccellente da tale punto di vista, e questo è un vantaggio fondamentale rispetto alle microbatterie agli ioni di litio, che mostrano di avere una vita più breve e possono creare problemi quando devono essere integrate in strutture permanenti, come gli impianti biomedicali, i tag attivi RFID (radio frequency identification) e i microsensori embedded, tutte applicazioni dove non è possibile o arduo sostituire il componente o effettuare operazioni di manutenzione.
Grazie all’integrabilità diretta on-chip i micro supercapacitor possono essere d’ausilio nel migliorare l’estrazione dell’energia dalle fonti solari, meccaniche e termiche, rendendo più efficienti i sistemi elettronici auto-alimentati. Inoltre, i ricercatori accennano anche alla possibilità di integrare i micro supercapacitori sul retro delle celle solari, sia nelle applicazioni con dispositivi portatili, sia nelle installazioni su tetto, in modo da immagazzinare direttamente l’energia raccolta durante il giorno, per l’uso nelle ore di buio, in modo da fornire elettricità in modo continuo.
I ricercatori, la cui sperimentazione è supportata da Maxwell Technologies, una delle società di punta nella fabbricazione di supercapacitori con elettrodi a base di carbonio, stanno ora guardando a possibili partnership con il mondo industriale, per valutare una produzione di massa dei micro supercapacitori in grafene.
Più di recente fra l’altro, sempre quest’anno, altri ricercatori dell’UCLA sono riusciti a sintetizzare una forma di ossido di niobio che dimostrerebbe una notevole facilità nell’immagazzinare energia, e potrebbe essere utilizzato nei supercapacitori. Il suo utilizzo potrà portare a realizzare dispositivi in grado di caricarsi molto velocemente, con applicazioni sia nei sistemi elettronici mobile, sia nelle attrezzature industriali. In campo industriale, ad esempio, i supercapacitori sono attualmente utilizzati nei sistemi di cattura dell’energia che permettono di alimentare le gru di carica nei porti.
Giorgio Fusari
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