Skill Shortage: è sempre aperta la caccia agli specialisti high-tech .

Dalla rivista:
Elettronica Oggi

 
Pubblicato il 28 agosto 2001

Anche l’ICT Consortium (Microsoft, IBM, Nokia, Philips, BT, Siemens e Thomson), affiancato dalla Commissione europea, ha elaborato lo Skill Profile Project, che è strutturato a grandi linee secondo i parametri della ricerca Federcomin/Anasin.

Questo repertorio dei profili è stato localizzato anche per il mercato del lavoro italiano allo scopo di studiare soluzioni alla carenza delle figure specialistiche richieste.

Le contromisure delle aziende
Di fronte alla mancanza di personale specializzato le aziende tendono a sperimentare “ricette” diverse.

Non esiste infatti una soluzione univoca e vincente al problema, ma viene adottato un mix di soluzioni, programmate nel breve periodo o protratte strategicamente nel tempo.

Alcune aziende di servizi effettuano una scelta drastica, trasferendo i propri centri in paesi meno costosi, ma ad alto potenziale di tecnici qualificati, come l’India, oppure scelgono di importare personale: così si comportano principalmente gli Stati Uniti, la Germania e la Gran Bretagna, i cui salari sono particolarmente attraenti.

Per quanto riguarda le aziende italiane, la scelta di “delocalizzare” è ancora agli inizi (esistono dei call center centralizzati a livello europeo, con l’Irlanda superstar, ma si riferiscono ad assistenza pre- o post-vendita ).

Ancora timide le “importazioni”: dai primi anni Novanta le aziende italiane tentato di fare shopping di talenti in Irlanda, incontrando la concorrenza spietata di tutti i paesi europei afflitti da skill shortage.

Da qualche tempo fanno capolino sul mercato
agenzie – pubbliche e private – che cercano di collocare nel nostro paese specialisti indiani o dell’Est europeo, ma nel complesso si tratta di numeri non significativi, che non modificano i termini del problema dello shortage.

Il trasferimento è, come si accennato, una scelta drastica non applicabile a tutte le aziende, la maggior parte delle quali modula gli interventi sulla base delle proprie esigenze, dimensioni, finalità.

Il core delle iniziative è sempre costituito dalla formazione.

Il punto dolente della formazione
Il problema, ma anche la sua soluzione – e su ciò esiste pieno accordo tra tutte le voci – sta nella formazione, un argomento ormai classificato come epocale.

L’opinione generale tende a separare la tipologia di interventi tra strutturali e mirati.

I primi dovrebbero essere effettuati dalle istituzioni scolastiche e riguardare l’alfabetizzazione preliminare dei docenti seguita da quella degli studenti, con un particolare sostegno per aree geografiche e contesti educativi “deboli”: si parla quindi di formazione di massa, quella che dovrebbe erogare la scuola pubblica come servizio imprescindibile.

Secondo Federcomin, in base a segmentazione delle competenze in un modello a quattro fasi, le imprese del settore ICT chiedono sia assicurata una formazione di base da parte della scuola secondaria. I due livelli successivi, formazione specialistica e di adattamento all’evoluzione tecnologica, dovrebbero invece essere a carico del settore privato, con il beneficio di incentivi e finanziamenti pubblici.

All’università invece spetterebbe il compito essenziale di assicurare le punte di eccellenza del trasferimento tecnologico.

La finalità è quella di dare ai giovani la preparazione professionale in aree e temi posizionati sulla frontiera dell’innovazione tecnologica; la cultura della mobilità anche con stage presso aziende in Italia e all’estero; la conoscenza dell’inglese; la conoscenza operativa delle principali imprese che operano nel settore ICT.

Va detto che qualcosa in questo senso si sta movendo, anche per effetto dell’impulso derivante da programmi comunitari che hanno una tempistica precisa; il traguardo, ossia la condizione che porti l’Italia a livello dei paesi dell’area G7, è però molto lontano.

Gli interventi mirati e, in casi specifici, d’emergenza sono ancora per gran parte a carico dei privati, perché quelli pubblici (specialmente finanziati da amministrazioni locali o da enti a partecipazione mista pubblico-privata) non soddisfano la domanda se non per poche centinaia di migliaia di diplomati per anno, comunque del tutto insufficienti a colmare le lacune cui si è accennato all’inizio.

Per completezza di informazione, comunque, meritano una citazione le iniziative pubbliche promosse, in ambito nazionale, con il supporto di entità private: indubbiamente non sono ancora assolutamente in grado di sfornare masse di esperti, ma costituiscono una piattaforma interessante per il futuro.

SkillPass, lanciata dal governo (tramite l’agenzia Sviluppo Italia) con il sostegno di un nutrito gruppo di banche, è un’iniziativa online che diplomerà 3000 operatori nell’ICT entro la fine di quest’anno. Da notare che ad essa hanno chiesto di aderire diverse migliaia di candidati (oltre 40 mila hanno chiesto la password e oltre 20 mila hanno completato la propria scheda di partecipazione).