Dopo un incontrastato predominio di oltre mezzo secolo sulla scena dei circuiti integrati, il silicio sembra vicino al capolinea. La richiesta di processori con una potenza di elaborazione sempre più spinta, anche in vista della realizzazione di computer quantistici, evidenzia come le sue caratteristiche chimico fisiche non consentano di scendere sotto il limite dei 10 nanometri.
I cristalli bidimensionali
Da qualche anno i principali centri di ricerca tecnologici sono alla ricerca del materiale più adatto a raccogliere questo prestigioso testimone. L’obiettivo è quello di individuare qualcosa che presenti le stesse caratteristiche di conduttività del silicio, consentendo nel medesimo tempo di infrangere il confine che segna l’accesso alle nanotecnologie. Con i cristalli bidimensionali siamo ormai allo spessore di un solo atomo, il che ne giustifica la definizione. Una struttura costituita da uno strato di atomi di carbonio disposti secondo una configurazione esagonale è stata una delle prime a polarizzare l’attenzione dei tecnologi. Dotata di una notevole resistenza e di uno spessore, appunto, delle dimensioni di un atomo, questa sostanza -il grafene- consentirà di passare dagli attuali componenti elettronici dello spessore di circa 20 nanometri a quelli di soli 5 nm.
Recentemente, il grafene è stato affiancato da altri candidati, fra cui il silicene, il germanene, il nitruro di boro, il disolfuro di molibdeno e il fosforo nero, o fosforene.
Il fotovoltaico organico, o OPV, rappresenta uno degli approcci più promettenti del solare di terza generazione: queste celle sono leggere, flessibili, poco costose, facili da installare e non richiedono la luce diretta del sole per funzionare. D’altro canto, però, oltre ad una vita operativa decisamente più contenuta rispetto al tradizionale fotovoltaico in silicio, devono anche necessariamente aumentare la loro efficienza per divenire davvero competitive. Il nuovo passo avanti compiuto da Heliatek (http://www.heliatek.com) è stato confermato ufficialmente e in modo indipendente del Fraunhofer.
I cugini del grafene
Circa un anno fa, all’Università di Austin, in Texas (USA), un gruppo di ricercatori ha annunciato di avere realizzato un foglio di un cristallo bidimensionale derivato dal silicio, il silicene, caratterizzato da alcuni vantaggi rispetto al grafene. In quanto affine al silicio, infatti, il silicene consentirebbe un’ulteriore miniaturizzazione circuitale mediante tecniche già note e collaudate. Inoltre, come il silicio, presenta una banda proibita che può essere controllata con facilità mediante il classico drogaggio del materiale. Inizialmente, il punto debole del silicene sembrava essere la sua fragilità e l’instabilità della sua struttura atomica. La collaborazione con i ricercatori italiani attivi ad Agrate Brianza ha consentito di risolvere questo problema, per cui il silicene è a pieno titolo un candidato alla successione del silicio.
Un altro materiale, anch’esso caratterizzato da una grande instabilità, è il germanene, previsto fin dal 2009 ma sintetizzato in laboratorio solo nel settembre 2014, in Europa. È composto da atomi di germanio che si dispongono esagonalmente formando cristalli a due dimensioni, presenta un’ottima conducibilità elettrica e possiede una banda proibita. A differenza del silicene, però, non ha ancora superato i problemi di instabilità.
Infine, sempre nel 2014, ha fatto la sua comparsa un materiale analogo ai precedenti, un cristallo bidimensionale basato sul fosforo nero e, naturalmente, subito battezzato “fosforene”. Con un metodo economico e veloce sono stati realizzati fogli composti da un solo strato di atomi di fosforo nero, con cui sono stati costruiti transistori a effetto di campo, poi applicati con successo in sensori di gas, interruttori ottici e in altri impieghi.
La sostituzione del pannelli solari in silicio
Anche nel campo della generazione di energia, dove le innovazioni più interessanti sono quelle che si collocano nell’area del fotovoltaico, la ricerca si indirizza verso le alternative ai pannelli solari in silicio. Un gruppo attivo presso il Polo Solare Organico della Regione Lazio (Chose) ha realizzato un modulo che utilizza un composto dalla particolare struttura cristallina in grado di ospitare diversi elementi, un materiale simile a un inchiostro, la perovskite ibrida, che può essere depositata con facilità mediante una tecnica di stampa tradizionale. Nonostante l’attività di ricerca su questi materiali sia in corso già da molti anni, finora la loro importanza era solo teorica, in quanto si potevano realizzare solo celle di piccolissime dimensioni. La svolta, illustrata da Aldo Di Carlo, del Dipartimento di Ingegneria Elettronica dell’Università Tor Vergata, consiste nel fatto che si tratta del primo modulo al mondo in scala reale, delle dimensioni di oltre 20 centimetri quadrati, basato su perovskiti ibride organiche/inorganiche, con possibilità di applicazioni industriali e commerciali. Attualmente, i ricercatori sono al lavoro per cercare di aumentare l’efficienza dell’impianto, che rappresenta per il momento il limite principale in vista della realizzazione di un prodotto vantaggioso, capace di sostituire i pannelli solari in silicio.
Il futuro della perovskite
L’obiettivo è raggiungere il 20%, che il silicio ha conseguito dopo molti anni. Il motivo per cui si ritiene che il successo sia a portata di mano dipende dal fatto che nelle celle di piccole dimensioni siamo già arrivati al 16%.
La perovskite, o ossido di titanio di calcio, sembra particolarmente adatta alla produzione in grande scala in virtù della semplicità della sua struttura atomica, che ne agevola la modifica in vista di un aumento dell’assorbimento della luce. Le sue possibili applicazioni sono state studiate anche all’Università di Oxford dal gruppo che fa capo al professor Henry Snaith. Per il momento, questo team ha raggiunto un’efficienza di conversione dell’energia solare in energia elettrica superiore al 15% con una tensione a vuoto di 1,07 V, contro lo 0,7 V del silicio. Secondo i ricercatori, questo approccio consentirà di ridurre i costi del pannelli fotovoltaici.
La silicon photonics
Accanto alla sostituzione del silicio è allo studio la possibilità di integrarlo con altre tecnologie, come avviene nella linea di ricerca sulla silicon photonics, che integra componenti in silicio con sensori fotonici. Gli scienziati della NASA stanno sviluppando il modem LCRD (Laser Communications Relay Demonstration), basato su questi principi e grande come un comune cellulare. Contemporaneamente, anche Intel e IBM hanno allo studio soluzioni in cui i segnali d’ingresso dei circuiti elettronici siano rappresentati da fotoni. Tornando all’agenzia spaziale statunitense, il primo lancio di un chip LCRD è stato programmato entro il 2020, nell’ambito della ISS (Stazione Spaziale Internazionale) che eseguirà i test di comunicazione nell’orbita bassa del pianeta (LEO, Low-Earth Orbit). Dopo il lancio, l’LCRD entrerà a far parte del sistema ILLUMA (LCRD LEO User Modem and Amplifier).