Nuove attività data-driven per i CFO di domani al CFO Summit 2019 di BI

Più di un CFO su due in Italia ritiene che la propria organizzazione debba adeguare o rinnovare il proprio modello di business, per stare al passo con le forti pressioni derivanti dall’innovazione tecnologica. E’ quanto emerge dalla ricerca di Business International, divisione di Fiera Milano Media – Gruppo Fiera Milano, presentata in occasione del CFO Summit 2019, evento dedicato alle figure direzionali delle aree di Amministrazione, finanza e controllo (AFC) d’impresa, giunto quest’anno alla sua diciottesima edizione.
La ricerca, dal titolo ‘The future of CFO in the Enterprise 4.0 era’, è stata realizzata in collaborazione con Luciano Olivotto, docente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, intervistando un campione di 100 CFO italiani nel mese di aprile 2019. In un contesto in cui le tradizionali competenze, amministrative, finanziarie, di controllo e fiscali, diventano insufficienti per stare al passo con le esigenze dei nuovi modelli di business digitale, si evince così che il 41% delle imprese interpellate ritiene adeguato il proprio modello di business, mentre il 51% lo considera solo parzialmente al passo con i tempi. L’8% delle aziende dichiara invece di non essere per niente soddisfatto della situazione attuale della propria realtà.
Ciò che emerge è che la digitalizzazione delle aziende permette una progressiva automazione anche nella gestione finanziaria, lasciando più liberi i professionisti di concentrarsi su compiti più importanti: in primis, instaurare un maggior dialogo tra CFO e CEO, per essere coinvolti in tutte le discussioni aziendali. I CFO 4.0 sono pertanto consapevoli del fatto che il loro ruolo assume una rilevanza sempre più cruciale nell’impresa digitale, e proprio per questo sentono di dover ancora sviluppare a pieno alcune skill fondamentali come quella di saper essere facilitatori del cambiamento (39%), leader del processo di evoluzione (26%) e produttori di smart data di supporto alla trasformazione (23%). Dai dati del rapporto, inoltre, emerge anche come i responsabili dell’area AFC considerino se stessi quali efficaci gestori di relazioni interne ed esterne, con un’autorevolezza fondata soprattutto sulle proprie abilità di costruire alternativi scenari di business per investimenti innovativi. Un asset, questo, che ovviamente avvicina sempre di più il mondo del finance a quello dell’IT e delle Analytics.
Le linee di intervento previste per il cambiamento in azienda, secondo i CFO, si polarizzano sostanzialmente su tre punti: la ricerca di innovazione, attraverso partnership con start-up (9%), reclutamento di nuovi talenti (16%) o investimenti in tecnologia e digitalizzazione (20%); un più diretto coinvolgimento sulle tematiche core (16%); il reperimento di risorse finanziarie alternative all’ambito bancario (5%) e l’investimento nel rafforzare il proprio modello di business rendendolo sempre più sostenibile (6%); un continuo sforzo per migliorare i processi di raccolta e di elaborazione dei dati al fine di rendere sempre più affidabili i processi di analisi strategica e consentire le previsioni di sviluppo del business model o gli scenari strategici di cambiamento e innovazione (20%). Azioni per arrivare a una ‘agilità strategica’ che diventa fondamentale per reagire all’inadeguatezza del modello di business e orientarsi verso nuovi prodotti, servizi, mercati e alleanze.
Si rende così necessario sviluppare un approccio di confronto costruttivo ai ‘fallimenti’, nel quale la gestione dei dati consente di affrontare situazioni anche non note in partenza, ma rese visibili grazie a continui processi adattivi sui possibili futuri scenari. Nonostante questo, però, ciò che si può osservare dall’analisi è che se da una parte la tendenza a guardare al futuro si stia ampliando, con la maggior parte degli intervistati (51%) che pone la propria attenzione in maniera eguale sia sui compiti tradizionali, legati ancora ad attività di controllo e gestione dell’ambito finanziario, sia sulle nuove attività analitiche e strategiche, dall’altra invece rimane innegabile come ci sia ancora un significativo numero di professionisti del settore (35%) che si interessa a queste nuove mansioni ‘data-driven’ solo nel 20% del proprio tempo lavorativo.
In ultimo, ma non per importanza, vi è infine il tema della sostenibilità, dove i dati mostrano come in Italia, da una parte, ci siano imprese che lo considerano un elemento ancora di carattere marginale o legato a esigenze di compliance (35%), mentre, dall’altra, ci sono già numerose realtà che lo ritengono un fattore culturale (38%). Nonostante questo, però, la ricerca evidenzia anche come ci sia ancora un corposo numero di realtà (19%) che considera ancora molto poco questi temi su cui nel prossimo periodo sarà importante lavorare e impegnarsi per consentire un migliore approccio manageriale e imprenditoriale sotto questo profilo anche nel nostro Paese.
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