Ci sono alcune novità fra le innovative micro macchine sviluppate nei laboratori IMEC per la raccolta e il riutilizzo dell’energia locale
In un futuro non troppo lontano saremo circondati da sensori miniaturizzati energeticamente indipendenti e connessi fra loro in reti wireless, integrati insieme ad altri mille dispositivi installati nelle case, nelle automobili e sul nostro stesso corpo. Oggi, questi piccoli sistemi ci sono già, ma sono alimentati con normali pile che frenano, di fatto, le loro prospettive di miniaturizzazione e durata di vita. Certamente per molte applicazioni le pile vanno benissimo, come ad esempio nella rilevazione delle variabili ambientali in luoghi comodamente accessibili, dove le pile possono essere facilmente sostituite quando si esauriscono. Tuttavia, per applicazioni come il monitoraggio continuo di apparecchi meccanici o nel controllo degli ambienti dove l’accesso è problematico le pile non sono l’ideale perché, considerando un modulo che consuma circa 100 µW, se ne deriva una durata di pochi mesi, al massimo un semestre.
Fig. 1 – Il nuovo raccoglitore di energia piezoelettrico realizzato nei laboratori IMEC
Sono molti i ricercatori nei laboratori di tutto il mondo che stanno studiando come recuperare l’energia dispersa nell’ambiente in tutte le sue forme: vibrazioni, luminosità e calore. Un evidente esempio è rappresentato dai sensori posti sulle macchine industriali, i quali possono convenientemente sfruttare l’energia vibrazionale emessa dalle macchine stesse per autoalimentarsi. Nell’ambito delle attività dell’ Holst Centre, i ricercatori dell’IMEC hanno recentemente dimostrato un nuovo piezoelettrico, Piezoelectric Energy Harvester, capace di raccogliere l’energia dispersa e usarla per alimentare uno o più sensori. Il nuovo dispositivo ha esibito sperimentalmente la potenza record di 60 µW, sufficiente ad alimentare un sensore industriale e permettergli di trasferire, di quando in quando, le sue informazioni fino a un controllore master poco distante.
I blocchi principali delle reti industriali di nuova generazione sono i sensori e gli attuatori connessi tramite transceiver wireless insieme a un modulo centralizzato per l’acquisizione dei segnali e a una stazione radio base. La loro capacità di autonomia è fondamentale perché è ciò che ne permette il corretto funzionamento senza bisogno di ricarica, manutenzione o alimentazione esterna.
Ridurre i consumi o recuperare energia?
La soluzione sviluppata da IMEC permette di affrontare il problema energetico da entrambi i punti di vista: consumo e rigenerazione. Per ridurre i consumi di energia IMEC sta lavorando su micro moduli capaci di lavorare con quantità minime di energia e l’obiettivo di queste ricerche è quello di arrivare a realizzare microsistemi collaudati capaci di accontentarsi di 100 µW medi. Nel contempo, i ricercatori IMEC stanno studiando come raccogliere e immagazzinare energia a sufficienza per poter incrementare l’autonomia di vita dei moduli composti da sensori e ricetrasmettitori wireless. A tal scopo, IMEC sviluppa raccoglitori di energia micromeccanici, Micromachined Energy Harvester, e li unisce insieme a dispositivi capaci di immagazzinare l’energia così da poterla erogare quando ce n’è bisogno, ossia quando l’harvester è inattivo o non riesce a fornire abbastanza energia per soddisfare la richiesta del carico.
Fig. 2 – Curva di risonanza per il piezoelettrico AIN
In pratica, questi dispositivi raccolgono l’energia dall’ambiente sotto forma di vibrazioni, luminosità o calore e la convertono in elettricità. Invero, ciascuna forma di energia ha caratteristiche che ne consigliano la raccolta e il recupero con un metodo appropriato. Per esempio, i sensori posti all’esterno possono essere convenientemente abbinati alle celle fotovoltaiche, capaci oggi di generare anche 10 mW/cm2. Il monitoraggio sulle macchine industriali, invece, invoglia a sfruttare le vibrazioni meccaniche o il calore che tipicamente fuoriesce in buona quantità dalle macchine stesse: molto spesso si tratta di valori costanti e ripetitivi e, quindi, statisticamente prevedibili. Sfruttando le vibrazioni meccaniche si possono facilmente recuperare ben 100 µW/cm2 e si tratta di una quantità di energia sufficiente ad alimentare un micro dispositivo abbastanza complesso per svolgere un’ampia gamma di funzioni industriali.
Energia convertibile
Per convertire l’energia e rifornirla ai microsistemi, i raccoglitori di energia vibrazionale possono indifferentemente sfruttare il principio elettromagnetico, elettrostatico o piezoelettrico. Tuttavia, un trasduttore piezoelettrico miniaturizzato è la soluzione più semplice ed è anche quella che ha finora dimostrato i migliori risultati.
Precisamente, consiste in un elemento elastico (cantilever) composto da uno o più strati piezoelettrici e interposto fra due elettrici metallici che vanno a comporre un condensatore. La punta di questo elemento è realizzata con una massa sismica che cattura le vibrazioni disperse dalla macchina sopra la quale è installato. In pratica, queste vibrazioni fanno oscillare la massa sismica che, a sua volta, fa oscillare il cantilever e quest’ultimo induce una tensione sul condensatore piezoelettrico. Questa tensione può, quindi, trasformarsi in energia applicata su un carico resistivo.
Tuttavia, i trasduttori piezoelettrici hanno una frequenza di risonanza che dipende dalla loro massa e dalla rigidità del cantilever. Ciò significa che quando le vibrazioni della macchina provocano l’oscillazione del trasduttore su questa frequenza, esso saprà fornire la sua massima potenza e, pertanto, la miglior condizione di lavoro per il raccoglitore è quella per cui le vibrazioni della macchina e la frequenza di risonanza del dispositivo corrispondono. Per ottenere tale condizione è necessario un po’ di lavoro di sperimentazione, giacché bisogna adattare la rigidità della massa sul cantilever alle caratteristiche geometriche e ambientali specifiche del luogo dove esso deve trovarsi a lavorare.
Potenza in crescita
Il nuovo raccoglitore di energia vibrazionale IMEC consiste in un condensatore piezoelettrico formato da un elettrodo di platino e un elettrodo di alluminio con in mezzo uno strato piezoelettrico di AIN, il tutto fabbricato sul silicio usando tre wafer uniti in tecnologia SU-8. Il dispositivo risultante sviluppa sperimentalmente una potenza di 60 µW, pesa appena 34 mg, ha un cantilever lungo 6 mm ed emette un fascio luminoso largo 5 mm. Queste prestazioni sono state misurate alla frequenza di risonanza di 500 Hz e con un’accelerazione di 2 g.
Fig. 3 – Le dimensioni del dispositivo a confronto con una biro
Diversamente dal raccoglitore piezoelettrico presentato da IMEC l’anno scorso e capace di erogare fino a 40 µW, il nuovo dispositivo è più potente e, grazie alla tecnologia PZT e all’innovativo spessore di AIN, ha il vantaggio di poter essere fabbricato con un processo di deposizione molto più semplice e compatibile con i più economici processi CMOS standard. Inoltre, il PZT può lavorare bene a 1,8 kHz e con la più bassa frequenza di risonanza di 500 Hz e ciò ne consente l’utilizzo in una più ampia varietà di applicazioni industriali e automotive e, oltretutto, ne permette l’industrializzazione in molti più modi come, per esempio, nella fabbricazione dei wafer SOI oppure nel disegno dei cantilev
er micromeccanici o nell’ottimizzazione dei sistemi di potenza.
Probabilmente in futuro i raccoglitori d’energia saranno realizzati con la frequenza di risonanza accoppiata alla massima potenza d’uscita richiesta, di volta in volta, dalle applicazioni, ma può anche darsi che si riusciranno a realizzare raccoglitori abili su uno spettro di frequenza allargato e capace di sintonizzarsi su un più ampio intervallo di frequenze vibrazionali. Grazie alla sua potenza d’uscita di 60 µW, il nuovo raccoglitore di energia IMEC è abbastanza robusto per poter alimentare tutte le moderne reti di sensori wireless che necessitano di trasmettere segnali e informazioni a intermittenza verso un master, come ad esempio succede nei sistemi TPMS.