Il memristore è stato definito da Leon Chua (Università di Berkeley) su una pubblicazione Ieee datata 1971 ma è solo dal 2006 che ne sono stati realizzati dei prototipi. In pratica si tratta di resistori capaci di “conservare” la loro polarizzazione nel momento in cui si spegne l’alimentazione e, perciò, pur trattandosi di componenti fondamentalmente passivi, ne consegue che potrebbero essere, per esempio, utilizzabili per memorizzare la configurazione completa di un PC al suo spegnimento e poi ristabilirla immediatamente alla sua riaccensione. Senza dubbio si tratta di caratteristiche interessanti, anche dal punto di vista commerciale, ma tutt’oggi ancora difficili da implementare in prodotti vendibili e competitivi nel prezzo.
Precisamente, al passaggio di una corrente tempovariante il memristore genera un flusso magnetico che è funzione della quantità di carica già presente nel dispositivo oltre che della corrente che scorre e pertanto ai suoi morsetti si manifesta una tensione che dipende dalla “memristenza” intesa come fattore cumulativo della resistenza al passaggio della corrente e della memoria della quantità di carica già presente. La tensione risultante è quindi la somma di una parte fornita dalla carica pregressa più una parte creata istantaneamente dallo scorrere dei nuovi portatori di carica.
I primi prototipi sono nati grazie ai recenti progressi nelle nanotecnologie che hanno consentito di realizzare film sottili di diossido di titanio spessi soli 5 nm nei quali le lacune di ossigeno si spostano prevalentemente verso l’elettrodo di uscita ma più o meno marcatamente in funzione dell’intensità dell’energia applicata e poi tendono a rimanervi finché l’applicazione di nuova energia non ne induce un nuovo spostamento.
Ciò significa che l’ossigeno del film conserva memoria del passaggio della carica fra i due elettrodi. Questo fenomeno può essere sfruttato, innanzi tutto, per realizzare memorie a elevata densità dato che un memristore occupa circa un quinto di spazio sul silicio rispetto a un transistor e dunque potrebbe consentire di realizzare memorie con capacità cinque volte maggiore di quelle attuali.
Tuttavia, ci sono ricerche e sperimentazioni che, usando il principio del memristore, hanno realizzato dei veri e propri transistor su scala nanometrica e ciò potrebbe aprire la via allo sviluppo dei processi in geometria di riga sotto la decina di nanometri, un limite che l’attuale tecnologia non riesce ad abbattere a causa delle problematiche quantistiche che si verificano in tali dimensioni. Fra i laboratori pionieri nello sviluppo dei memristori si trova soprattutto Hewlett-Packard che recentemente ha presentato un prototipo di memoria di questo tipo in grado di immagazzinare ben 100 Gigabit al cm2.
Memristori neuronali
I laboratori HRL, Hughes Research Laboratories, nascono a Malibu in California nel lontano 1948 e da allora sono protagonisti nella ricerca e nello sviluppo delle tecnologie elettroniche più avanzate per svariati campi applicativi che spaziano dall’aeronautica alle comunicazioni satellitari, dall’automazione industriale ai supercomputer. Oggi i laboratori di HRL Laboratories LLC (Limited Liability Company) misurano 23000 m2e al loro interno c’è una camera bianca Classe 10 di circa 930 m2.
Non appena si è capito che i memristori erano realmente utilizzabili e cioè all’incirca dal 2007 gli HRL hanno deciso di avviare una campagna di ricerca finalizzata a individuarne e sperimentarne le possibilità applicative. Precisamente, nei laboratori CNES, Center for Neural and Emergent Systems, in seno agli HRL si sono iniziate a studiare le possibilità di utilizzo dei memristori nella forma di transistor evoluti in grado di rappresentare in qualche modo l’attività dei neuroni e delle sinapsi presenti nel cervello umano, ritenuto il più efficiente motore di calcolo tutt’oggi esistente.
Questa campagna di ricerca fa parte dell’ambizioso programma americano DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) e, in particolare, del progetto denominato SyNAPSE (Systems of Neuromorphic Adaptive Plastic Scalable Electronics) per il quale gli HRL si sono avvalsi della collaborazione già esistente con l’università del Michigan.
Alla fine dell’anno scorso è stato pubblicato dal team di ricerca degli HRL Laboratories e dai ricercatori dell’università del Michigan il primo articolo sulla rivista Nano Letters dal titolo “A Functional Hybrid Memristor Crossbar-Array/CMOS System for Data Storage and Neuromorphic Applications” e appaiono risultati senza dubbio forieri di interessanti prospettive.
In pratica, il problema più ostico dei memristori è la corrente inversa che la polarizzazione del circuito nel quale sono inseriti crea e fa scorrere sul dispositivo fino a trascinare tutte le lacune ivi presenti spargendole all’interno del film e facendone così perdere il contenuto di informazione ossia la memoria sulla quantità di carica precedentemente spostata.
I ricercatori HRL hanno perfezionato il film di diossido di titanio riuscendo a realizzarvi un piccolo diodo orientato direttamente e capace di formare una mini barriera che ostacola il passaggio della corrente inversa consentendo di prolungare la memoria del componente ovvero di conservare la posizione assunta dalle lacune di ossigeno presenti. In pratica, la posizione assunta dall’ossigeno può essere definita l’informazione analogica ivi contenuta dato che può teoricamente assumere infinite posizioni
Il passo avanti effettuato nei laboratori HRL è stato quello di provare a realizzare con questi memristori dei transistor dotati di memoria i quali, dunque, sono concettualmente molto simili ai neuroni del cervello umano dato che come essi possono attivarsi pur ricordando l’attività precedente.
In effetti, viene superata la storica impostazione dei computer nei quali l’unità algebrica e la memoria sono sempre ben distinte, dato che ora possono convivere. Inizialmente è stato realizzato un prototipo di chip con un array di memristori deposti nella forma di elementi operativi pilotabili tramite un secondo chip che ne decide i collegamenti in silicio-germanio con gli altri memristori ossia le sinapsi in base a un algoritmo esperto neuronale.
In pratica, l’array di memristori può cambiare continuamente configurazione e, inoltre, conservare memoria di ciò che succede, proprio come avviene nel cervello. Il direttore del programma di ricerca N. Srinivasa definisce questo chip una “memoria multi-bit integralmente indirizzabile” e spiega che in questo modo hanno realizzato chip con capacità di memoria di 10 Gbit/cm2 e limite teorico fino a 30 Gbit/cm2, un risultato senza dubbio interessante per le industrie del settore delle memorie.
Tuttavia, il vero scopo di queste ricerche consiste nel realizzare unità di calcolo neuronali e una volta che il primo prototipo a doppio chip ha mostrato di riuscire a emulare il funzionamento dei neuroni del cervello allora è stato deciso lo sviluppo di un secondo prototipo con ben sei livelli di array di memristori in modo tale da potenziarne la potenza di calcolo parallelo.
I primi esperimenti fanno ben sperare perché sembra che le prestazioni siano davvero superiori rispetto a quelle delle unità di calcolo tradizionali, ma gli studi sono ancora in corso e non si può ancora davvero parlare di prototipi affidabili. Gli esperti HRL sono fiduciosi di riuscire a realizzare array tridimensionali con milioni di memristori pilotati da miliardi di sinapsi e promettono di aprire la via ad applicazioni ancor più sorprendenti.