La Internet of Things (IoT), la prossima evoluzione di Internet, è in corso, e promette: dopo il suo compimento, niente sarà più come prima. Si parla di una trasformazione-rivoluzione tecnologica con un impatto trasversale su tutti gli ambiti delle attività umane.
Di questo fenomeno mondiale gli oggetti intelligenti connessi alla rete rappresentano un tassello chiave, con un numero e una varietà di device collegati al Web che continua a espandersi, giorno dopo giorno. Una moltitudine di oggetti che una delle ricerche più citate e accreditate, quella di Cisco IBSG (Internet Business Solutions Group), stima arrivare a 50 miliardi di dispositivi entro il 2020. E fra questi non tutti saranno necessariamente sensori o dispositivi di nuova concezione, come smartphone, wearable device o auto connesse.
Molti di essi saranno oggetti ‘old style’, magari non abbastanza attraenti e sexy da attirare l’attenzione dei normali utenti, ma importanti, ad esempio per il ménage casalingo e aziendale. Come ad esempio i termostati, che Nest, la società acquisita l’anno scorso da Google, sta reinventando e trasformando in oggetti intelligenti.
A febbraio, i Nest Labs hanno reso noto di aver conviso i risultati di tre studi indipendenti sui consumi di energia, che indicano, in media, come, negli Stati Uniti, il Nest Learning Thermostat abbia fatto risparmiare agli utenti dal 10 al 12 per cento su conti delle bollette per il riscaldamento, e attorno al 15 per cento sui costi di raffreddamento. Ciò si tradurrebbe in risparmi quantificabili mediamente dai 131 ai 145 dollari l’anno.
Questi termostati smart non richiedono una noiosa programmazione, o di essere regolati manualmente in occasione dei cambiamenti stagionali, ma dopo qualche giorno dall’avvenuta installazione ‘imparano’ le abitudini di casa, ‘ricordano’ le temperature gradite dall’utente, creano un programma personalizzato per quella data abitazione, e si spengono automaticamente quando si è fuori casa. Naturalmente, possono essere anche controllati da remoto tramite smartphone, attraverso un’apposita app.
Processo d’adozione
Esistono settori applicativi specifici in cui la IoT si diffonderà prevalentemente? Sì, secondo uno studio di Equity Research, una divisione della banca d’affari Goldman Sachs, che analizza il mercato per identificare le opportunità d’investimento. In particolare sono cinque le aree verticali di adozione individuate: i dispositivi indossabili connessi, le ‘connected cars’, le abitazioni connesse, le ‘connected cities’ e la Industrial Internet.
Osservando invece il processo di diffusione della IoT dal punto di vista dei fattori di stimolo, o delle barriere che ancora ne frenano lo sviluppo, vi sono da segnare alcune trasformazioni tecnologiche che hanno contribuito a determinare, e continuano a favorire, l’espansione del megatrend Internet of Things.
In sintesi, spiega la ricerca, gli ostacoli chiave sono stati rimossi, come il costo della connettività, che è sceso, mentre al contempo sono state sviluppate nuove tecnologie e metodi di analisi delle enormi moli di dati che tutti questi oggetti connessi alla rete generano di continuo.
Andando più in dettaglio, in prima linea, tra i fattori abilitanti, ci sono i prezzi dei sensori, che hanno registrato un continua diminuzione nell’ultimo decennio.
Poi i costi della banda, scesi di 40 volte in dieci anni, e i costi di elaborazione, che si sono ridotti di 60 volte, sempre nello stesso lasso di tempo. Quest’ultimo fattore ha permesso di realizzare oggetti non più semplicemente connessi alla rete, ma device dotati di un’intelligenza in grado di elaborare i dati che ricevono e generano.
La diminuzione dei costi dei semiconduttori, ad esempio dei microcontroller (MCU) e microprocessori, fa sì che tali chip proliferino e coesistano in un crescente numero di dispositivi. Allo stesso modo, nei dispositivi IoT aumenta la densità di sensori di vario tipo: sensori, d’immagine, movimento, tocco; sensori ambientali, e la diffusione di ‘sensor hubs’ destinati a gestire il traffico dati e a ridurre il peso dei workload sul processore centrale.
Poi ci sono gli smartphone che funzionano come ‘personal gateway’ verso la IoT e si trasformano in strumenti di controllo remoto, o hub da cui diventa possibile amministrare applicazioni domotiche, la propria automobile, o un dispositivo indossabile per uso medicale, o per il fitness.
Ci sono le reti wireless, sia quelle Wi-Fi, sia le infrastrutture radiomobili geografiche (3G/4G), che stanno accrescendo gradualmente la larghezza di banda, sono diventate ubiquitarie, e disponibili per un maggior numero di utenti. E ci sono gli algoritmi e le applicazioni analitiche di nuova generazione, capaci di elaborare gli enormi volumi di informazioni dei Big Data ed estrarre indicazioni di valore, utili ad esempo per ottimizzare il funzionamento degli impianti tecnologici, o per prendere migliori decisioni di business.
Non certo meno importante è l’attuale supporto, da parte di molte attrezzature di networking, del protocollo IPv6 (Internet Protocol Version 6), destinato a sostituire il glorioso ma datato protocollo Ipv4, che possiede una capacità di indirizzamento ormai evidentemente inadeguata rispetto all’enorme proliferazione di dispositivi IoT da controllare nell’ambiente.
Verso il ‘fog computing’
Una considerazione essenziale va poi fatta su quel fattore abilitante per eccellenza, che è il cloud. È vero che in questi anni si è parlato molto di cloud computing, intendendo, nell’accezione più pura, un modello di IT in cui i dati possono essere trasferiti fuori dal proprio server aziedale o dispositivo personale, memorizzandoli ed elaborandoli su server remoti residenti in enormi data center, ubicati fisicamente anche dall’altra parte del mondo. È anche vero, però, che con l’avvento del paradigma IoT, oggi il luogo in cui i dati vengono raccolti (da sensori, o altri dispositivi) diventa la rete periferica (rete edge).
Nei prossimi anni, la maggioranza dei dati generati dalle applicazioni IoT verrà elaborata a livello della rete edge (router, mobile device, appliance). Un modello quindi dove, per ragioni di riduzione della latenza (tempo necessario per trasferire le informazioni nel cloud) e di economicità di trasporto, l’intelligenza di rete necessaria per elaborare i dati risiederà sempre più vicino alla fonte che li ha generati. Si registrerà quindi una sempre maggior diffusione delle cosiddette architetture di ‘fog computing’, in grado di abilitare appunto l’edge computing, un fattore tecnologico indispensabile per rendere possibile un’elaborazione dei dati in real-time a livello locale.
Punto di svolta
Sembra davvero arrivato il momento in cui la Internet degli Oggetti sta mostrando di aver sviluppato ali sufficientemente robuste da poter spiccare il volo, e arrivare alla fase critica, in cui la tecnologia, dalla pura innovazione può trasformarsi in tecnologia implementata.
Lo ha sottolineato Tiziana Olivieri, direttore della divisione Enterprise & Partner Group di Microsoft Italia, parlando al Symposium 2015, svoltosi a metà febbraio nell’Innovation Campus di Peschiera Borromeo, con la partecipazione di un folto pubblico, formato da CIO (chief information officer) che operano in svariati settori di business del nostro paese. In Italia, dal 2012 gli investimenti IoT hanno registrato un trend costante, i progetti ci sono, ma il problema centrale è che finora le implementazioni sono state realizzate secondo un paradigma IT ‘a silos’: quindi applicazioni molto verticali, sviluppate entro certi ambiti.
Il vero salto di qualità invece, ha spiegato Olivieri, si avrà spaccando queste strutture a silos e passando alla creazione di applicazioni capaci di interconnettere più sistemi. Microsoft ricorda anche i capisaldi che devono ispirare la progettualità IoT, ossia l’apertura delle applicazioni, la loro interoperabilità, ma anche i principi di sicurezza IT e di compliance con le normative di settore, riguardo ad esempio alla data privacy, indispensabili da rispettare nel mondo aziendale, così come in altre sfere di attività.
Expo Milano 2015: dalla IoT alla ‘Energy of Things’
In termini di implementazioni reali e nuovi progetti, un’applicazione interessante nella sfera IoT è quella che, al momento in cui scriviamo, si trova in fase di completamento e configurazione finale, anche se la sua realizzazione è partita un paio d’anni fa. Si tratta del sistema di gestione dell’energia della smart grid destinata ad alimentare le infrastrutture della manifestazione fieristica Expo Milano 2015.
L’applicazione si chiama EMS (Energy Management System), è stata sviluppata da Siemens Italia in collaborazione con Enel, e si basa sulla soluzione cloud PaaS (platform-as-a-service) Microsoft Azure. Quest’ultima assurge a cuore digitale in grado di gestire i flussi energetici che attraverseranno la rete di alimentazione di Expo 2015.
In sostanza, aderendo pienamente al paradigma tecnologico di ‘smart grid’, il sistema EMS è progettato per andare oltre le tipiche funzionalità della classica sala controllo, e si interfaccia quindi con tutti i componenti che interagiscono nella produzione e nel consumo dell’energia. L’applicazione comunica con i sistemi SCADA (supervisory control and data acquisition) della rete di distribuzione, con l’infrastruttura di illuminazione pubblica, con gli ‘smart meter’ installati nei vari padiglioni, con i sistemi SCADA e i sistemi di building automation degli impianti fieristici, e con i dispositivi IoT.
L’obiettivo principale di EMS è eseguire attività di monitoraggio e reporting di tutti gli andamenti energetici. “Il sistema che abbiamo realizzato – spiega Maurizio Bigoloni, head of Operations della divisione Smart Grid Solutions di Siemens Italia – non è pensato per stare in una sala controllo, ma per chi deve gesitre l’energia anche dal punto di vista del business. Quindi l’idea è che questo sistema riesca a mettere insieme le informazioni che arrivano dalla rete, con le quelle che arrivano dai vari utilizzatori della stessa”.
Nel caso di Expo questi utilizzatori sono rappresentati dagli oltre cinquanta padiglioni dell’area fieristica. Ciascuno sarà equipaggiato con contatori intelligenti, in grado ad esempio di misurare il consumo del sistema di building automation adibito alla regolazione dell’impianto di condizionamento (temperatura, umidità) e dell’illuminazione ambientale dei singoli edifici. A seconda del padiglione, il livello di monitoraggio potrà essere più o meno evoluto.
Posto che un livello di monitoraggio base è stato reso disponibile per tutti, precisa Bigoloni, e che ogni edificio è dotato di almeno uno smart meter, ci sono casi in cui si è deciso di implementare un livello di controllo più approfondito, con meter aggiuntivi installati a valle del quadro principale e in grado di monitorare ogni linea. Quindi in questi casi non solo è possibile visualizzare e analizzare il consumo globale del padiglione, ma anche ad esempio l’energia usata per l’aria condizionata, per il funzionamento delle scale mobili; o ancora i consumi delle piastre elettriche della cucina, o dei frigoriferi.
EMS, non solo per risparmiare energia
Essendo il sistema EMS indirizzato agli energy manager responsabili dell’alimentazione dei singoli padiglioni, oltre alla principale funzione di monitoraggio dei flussi energetici e razionalizzazione dei consumi (nella letteratura tecnologica specifica, questi sistemi consentono risparmi attorno al 10-15%), esso ha anche un’altra funzione chiave: consentire loro di modulare in tempo reale i consumi, con la possibilità di ridurre o eliminare completamente determinati carichi non essenziali in caso di necessità, o addirittura di emergenze particolari sulla rete elettrica.
Gli algoritmi di efficientamento energetico integrati in EMS sono configurabili per agire in automatico. “Se la rete dovesse entrare in condizioni critiche, o ci fosse qualche guasto che facesse diminuire la potenza erogabile sulla smart grid, noi abbiamo progettato l’applicazione in modo che il sistema gestionale della rete sia in grado di informare il sistema di gestione dell’energia a entrare in emergenza”. Quest’ultimo può quindi attivarsi per diminuire il carico definito per ogni singolo padiglione.
Il controllo di EMS da parte degli energy manager è realizzato grazie alla fruibilità dell’applicazione sia attraverso un ‘cockpit’ basato su interfaccia Web, sia in modalità mobile, tramite un’apposita app per smartphone.
A livello architetturale, il sistema di gestione EMS è ospitato appunto sull’infrastruttura cloud Microsoft Azure, in grado di fornire i servizi IT necessari (attraverso Azure Websites, Worker Role) e la capacità computazionale e scalabilità richieste per supportare in modo flessibile i picchi dei workload legati alla fluttuazione delle esigenze energetiche.
L’architettura del sistema prevede un layer d’interfaccia M2M per la connessione e comunicazione tra i dispositivi IoT e Azure Service Bus. Inoltre Siemens ha dovuto progettare una soluzione ‘mista’, sviluppando un gateway EMS, necessario per interfacciare i sistemi SCADA e quei dispositivi che, per loro natura, non sono in grado di inviare i propri dati direttamente all’infrastruttura cloud.
In prospettiva però, conclude Bigoloni, l’idea è far evolvere il sistema EMS sfruttando le funzionalità del Microsoft Azure Intelligent Systems Service (ISS), che risponde al problema aziendale e industriale di connettere direttamente al cloud, e amministrare in modo sicuro, i vari sensori e oggetti IoT, catturando tutti i dati che tali macchine generano.
In sostanza questa estensione del cloud Microsoft Azure include sia le funzionalità di acquisizione dati, sia agenti software in grado di supportare vari dispositivi e sensori industriali, indipendentemente dal tipo di sistema operativo. Tali agenti possono supportare quindi i protocolli e sistemi operativi eterogenei tipici delle diverse LOB (line of business) di un’impresa. In pratica, tutti i dispositivi il cui produttore supporta i servizi Azure ISS potranno essere collegati direttamente al cloud Azure, e quindi all’applicazione EMS, senza necessità di sviluppare ulteriori integrazioni software.