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Convertitori optoelettronici plasmoniciERT

Una nuova chance alla conversione dei segnali fra la forma ottica espressa dai fotoni e la forma circuitale dove i protagonisti sono gli elettroni è costituita dalla risonanza plasmonica superficiale o Surface Plasmon Resonance. In pratica, un plasmone è un’oscillazione coerente causata da un’eccitazione ottica sui portatori liberi superficiali dei metalli, ovvero sugli elettroni che si trovano a pochi nanometri dalla superficie del metallo e che possono essere considerati in prima approssimazione come un liquido ad alta densità assoggettato a fluttuazioni casuali.

I plasmoni sono onde elettroniche superficiali correlate al passo reticolare dei metalli e alla lunghezza d’onda delle onde luminose incidenti

Tuttavia, sotto opportune condizioni un’onda elettromagnetica trasportata da una radiazione luminosa che colpisce il metallo può provocare la formazione di oscillazioni collettive coerenti da parte degli elettroni che si trovano in prossimità dell’interfaccia superficiale che separa il metallo dall’etere illuminato. A causa di ciò, si crea un’onda elettromagnetica che si propaga parallelamente alla superficie e, pur non avendo carattere radiativo, può modificare le condizioni di accoppiamento fra la luce incidente e la luce diffusa dalla superficie metallica.

Il legame fra l’onda plasmonica nel metallo e l’onda luminosa all’esterno dipende però anche dal reticolo cristallino del metallo e soprattutto dallo strato più vicino alla superficie e perciò, scegliendo opportunamente le particelle di questo strato, si possono decidere anche le funzionalità che si desiderano ottenere a livello applicativo. Questo effetto è oggi utilizzato per amplificare la cattura dell’energia luminosa da parte dei materiali fotovoltaici e aumentarne il rendimento di conversione.

Il modulatore di fase plasmonico sperimentato nei laboratori del KIT e dell’ETH offre in soli 78 µm^2 una velocità di conversione coerente di 40 Gbit/s

Invero, si tratta di un utilizzo passivo ben noto addirittura a chi costruiva le vetrate delle chiese di qualche secolo fa perché quei pazienti artigiani non facevano altro che impregnare a caldo il vetro da usare per le finestre con polveri metalliche. Nella superficie delle loro particelle la luce induce l’oscillazione coerente degli elettroni, ovvero la formazione di plasmoni che assorbono dalla luce solare l’energia luminosa a tutte le lunghezze d’onda ma poi la rilasciano per diffusione alla lunghezza d’onda di risonanza con il loro passo reticolare, selezionandone quindi il colore (giallo per l’oro, bianco per l’argento, rosso per il rame e così via).

Da pochi anni, grazie alla rapidissima evoluzione della scienza e della tecnologia a livello dei nanometri, si è potuto osservare in dettaglio ciò che succede nello strato superficiale metallico interessato alla generazione delle onde plasmoniche. La possibilità di intervenire alle dimensioni nanometriche ha perciò consentito di sfruttare a livello applicativo la correlazione fra la lunghezza d’onda delle onde luminose e le caratteristiche del potenziale elettrico prodotto sulla superficie metallica.

La distanza a cui si trovano le buche nella piastrina determina la lunghezza d’onda di risonanza dell’effetto plasmoelettrico che può generare fino a ±100 mV

In pratica, anche l’eccitazione ottica non in risonanza con i plasmoni genera una carica elettrostatica spontanea in tutta la nanostruttura conduttiva e questa carica è positiva se la lunghezza d’onda della radiazione è maggiore di quella della risonanza, mentre è negativa se è minore. Sfruttando questo fenomeno si può amplificare l’effetto plasmoelettrico in modo tale da realizzare elementi optoelettronici capaci di convertire l’energia luminosa in potenziale elettrico e viceversa, conservando nel segnale elettrico le caratteristiche della forma d’onda ottica ossia le informazioni, e viceversa. L’effetto plasmoelettrico può pertanto servire per realizzare sia giunzioni P-N a comando ottico sia diodi LED a comando elettrico con il valore aggiunto di un’elevatissima velocità di conversione e con la possibilità di usare materiali selettivi in lunghezza d’onda e perciò calibrare la conversione dell’energia e dei segnali secondo le esigenze applicative.

Un prototipo sperimentato a Berkeley rileva otticamente le sequenze del DNA con un’antenna plasmonica d’oro e un foglio di grafene poroso

Le difficoltà di questa tecnologia sono attualmente dovute alle perdite di propagazione tipicamente abbondanti delle superfici metalliche che tendono a disperdere i plasmoni su tutto lo spazio disponibile, mentre per realizzare dei dispositivi è necessario in qualche modo confinarli in densità adeguate a un loro utilizzo. Molte ricerche sono in corso proprio per sperimentare delle guide d’onda capaci di definire delle geometrie dove dar vita a fenomeni di conversione stabili fra i segnali ottici e quelli elettronici e viceversa.

Oltre che per l’ottenimento di nuovi convertitori questa tecnologia appare promettente anche per la bioingegneria, perché i plasmoni sono molto sensibili e in grado di accorgersi delle radiazioni luminose debolissime tipicamente generate dalle sostanze organiche, che perciò potrebbero essere riconosciute con precisione da opportuni sensori plasmonici con dimensioni nanometriche, utilizzabili senza rischi anche sotto cute.

Modulazione di fase plasmonica

Il progetto NAVOLCHI (Nano Scale Disruptive Silicon-Plasmonic Platform for Chip-to-Chip Interconnection) fa parte del settimo programma quadro europeo per la ricerca e coinvolge numerose università fra cui anche il Karlsruhe Institute of Technology (KIT) che ha recentemente pubblicato i risultati di una sperimentazione ultimata con successo insieme al Politecnico di Zurigo (ETH). In pratica, sono riusciti a realizzare un convertitore coerente che in appena 78 µm2 riesce a sfruttare i plasmoni superficiali per convertire i segnali elettrici in segnali ottici all’eccezionale velocità di 40 Gigabit al secondo.

Nano-Meta Technologies sviluppa e fornisce metamateriali plasmonici per le celle fotovoltaiche, le memorie solide e i rilevatori medicali

Il Plasmonic Phase Modulator (PPM) è composto da due elettrodi d’oro lunghi 29 µm separati da un gap largo 140 nm nel quale c’è un polimero il cui indice di rifrazione cambia in funzione della tensione applicata agli elettrodi. Questo gap si comporta perciò come una guida d’onda sulla quale si forma un’onda plasmonica superficiale che mostra la stessa fase del potenziale elettrico applicato agli elettrodi e perciò ne costituisce una rappresentazione ottica coerente in fase e capace di contenere le stesse informazioni binarie.

La scelta della lunghezza d’onda all’infrarosso centrata a 1550 nm ma con tolleranza di ±120 nm conferisce una buona robustezza al componente che funziona bene anche con temperature fino a 85 °C e, inoltre, è fabbricabile a costi competitivi con le attuali tecnologie Mems. Le piccole dimensioni, infine, potranno consentire di realizzare convertitori con centinaia di canali e velocità complessive di molti Terabit/s.

Fino a ±100 mV selettivi nel visibile

Un team composto da ricercatori dell’Amolf Institute olandese e del California Institute of Technology (Caltech) californiano si è dedicato al miglioramento dell’efficienza di conversione fra la radiazione ottica di eccitamento e l’onda plasmonica superficiale prodotta in modo tale da rendere quest’ultima più adatta all’utilizzo applicativo. Dopo lunghe sperimentazioni, sono riusciti a fabbricare quattro piastrine usando uno strato d’oro con spessore di 20 nm sul quale sono scavati altrettanti quattro array di buchi di forma circolare con diametro di 100 nm in quattro passi differenti, ossia con reciproca distanza di 175, 225, 250 e 300 nm fra i buchi.

In questo modo si ottiene una significativa amplificazione dell’effetto plasmoelettrico nella luce visibile e, in pratica, illuminando il tutto con un laser sintonizzabile e cambiando il colore dal blu fino al rosso si osserva nelle piastrine d’oro un’onda di potenziale con tensione che parte da -100 mV e arriva a +100 mV ma in funzione dei quattro valori di distanza utilizzati si trova un picco maggiore rispettivamente nel blu, nel verde, nel giallo e nel rosso.

Un’antenna plasmonica per leggere il DNA

Alcuni ricercatori del Lawrence Berkeley National Laboratory (o Berkeley Labs) e dell’Università della California di Berkeley hanno sfruttato l’effetto plasmonico per rilevare con rapidità e precisione le sequenze nelle molecole del dna. Il dispositivo sperimentato è costituito, innanzi tutto, da un foglio di grafene poroso nel quale i pori ossia i buchi fra le molecole filamentose del grafene hanno dimensioni sufficienti a permettere alle molecole del dna di passarvi attraverso. Sopra a esso c’è l’antenna plasmonica che è una barretta sferoidale nanometrica d’oro con un’estremità a contatto con il grafene e l’altra collegata a un rilevatore di potenziale elettrico.

Durante il passaggio di una molecola di dna preventivamente illuminata con una radiazione fluorescente, la punta della barretta rileva il cambio di luminosità correlato a ciascuna delle quattro basi azotate del dna e lo trasforma per effetto plasmoelettrico in un segnale che viene osservato all’esterno. In questo modo si possono rilevare e riconoscere le sequenze nelle molecole del dna ma anche molte altre proteine e i ricercatori stanno ora provando a variare le misure dei pori allargando o restringendo le maglie del foglio di grafene poroso, in modo tale da controllarne la selettività e poter rilevare organismi di diverse dimensioni.

Metamateriali plasmonici per tutte le applicazioni

Un gruppo di ricercatori della Purdue University (West Lafayette, Indiana) ha fondato una spin-off per dedicarsi alla ricerca, alla produzione e alla commercializzazione dei materiali più adatti all’ottenimento dell’effetto plasmoelettrico per diverse applicazioni. In pratica, hanno approfondito le sperimentazioni sui composti metallici come ad esempio il nitruro di titanio capace di assorbire la luce nell’intero spettro visibile da 400 a 800 nm, ma anche il nitruro di zirconio, il grafene a film sottile e gli ossidi metallici trasparenti per determinarne sia le caratteristiche spettrali sia quelle meccaniche e termiche necessarie per la loro ingegnerizzazione come il punto di fusione e la duttilità.

La nuova società Nano-Meta Technologies fornisce “metamateriali” plasmonici caratterizzati da un’ottima tenuta termica e perciò molto adatti per l’uso sulle superfici delle celle fotovoltaiche cui possono migliorare il rendimento fino all’85%. Inoltre, fornisce metamateriali plasmonici con cui si possono fabbricare gli Heat-Assisted Magnetic Recording che sono celle di memoria solida con densità decine di volte superiore a quelle degli attuali HDD e poi anche metamateriali plasmonici adatti per l’impiego medicale come rilevatori ottici, sensori chimici di grande precisione oppure polveri per la Nanoparticle Thermal Therapy in uso nella cura dei tumori.