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13 - ELETTRONICA OGGI 496 - SETTEMBRE 2021 Quando si parla di semiconduttori, Unione Europea, Stati Uniti e Asia condividono un obiettivo comune: investire miliardi nelle attività di ricerca e produzione per conquistare la maggior quota possibile del mercato dei chip. Gli ostacoli di varia natura che deve affrontare la supply chain – carenza di componenti, disastri naturali e via dicendo – non sembrano arrestare i programmi di espansione dei produttori di chip. Per Unione Europea e Stati Uniti questa espansione vuole dire raggiungere la sovranità tec- nologica nel campo dei semiconduttori, mentre per l’Asia si tratta di perpetuare il suo domi- nio nel settore. I Paesi asiatici producono oltre il 70% dei semiconduttori su scala globale e hanno pianificato un’ulteriore espansione. La Corea ha intenzione di investire 450 miliardi di dollari con l’obiettivo di diventare la base produttiva più importante del mondo. Il Giappone, dal canto suo, ha un gran numero di fabbriche di chip, ma non produce a sufficienza prodotti di fascia alta per rimanere competitivo sul mercato. Lo scenario potrebbe mutare grazie a un progetto di rilancio nazionale supportato dal Governo: il piano prevede una cooperazione con Tsmc e investimenti nella costruzione di un laboratorio di ricerca per 337 milioni di dollari. La produzione di semiconduttori avanzati è appannaggio di Taiwan, che ospita la principale fonderia al mondo, ovvero Tsmc. Quest’ultima ha annunciato investimenti per 100 miliardi di dollari nei prossimi tre anni per l’ampliamento della capacità produttiva e delle proprie attività di R&D. La Cina importa semiconduttori per 300 miliardi di dollari ma per quanto riguarda la produzione dei chip non sta facendo grossi progressi. Il maggior ostacolo è rappresentato dalle sanzioni statunitensi nei confronti di Smic, il principale produttore del Paese, inserito lo scorso anno nella “black list” statunitense. In ogni caso il Governo di Pechino ha stanziato 155 miliardi di dollari nei prossimi 5-10 anni, destinati principalmente ad attività di R&D. Gli Stati Uniti, dal canto loro, producono sicuramente i chip più avanzati al mondo ma si affi- dano a Taiwan per il 90% della produzione dei propri chip. Per cercare di sopperire a questa debolezza, il Governo a stelle e strisce ha stanziato 52 miliardi dollari, destinati a potenziare la produzione nazionale. Per quanto concerne l’Unione Europea, anche in questo caso i piani vanno nella direzione di diminuire la dipendenza da Stati Uniti e Asia. Tra le proposte l’alleanza tra le società attive nel settore dei semiconduttori con base in Europa. Obiettivo: quello di detenere entro il 2030 una quota pari al 20% del mercato mondiale dei chip. Nel frattempo, per cercare di attenuare le conseguenze dovute alla carenza di chip, Bosch ha inaugurato a Dresda un impianto per la produzione di circuiti integrati destinati al settore automotive. In ogni caso packaging e assemblaggio verranno fatti in Asia. Discorso a parte il Regno Unito, che sembra andare nella direzione opposta. Invece di investire nell’espansione, i produttori di chip locali hanno colto l’opportunità di vendere attività e fab ad acquirenti stranieri, per un totale di 42 miliardi di dollari a partire dal 2010. Filippo Fossati Sovranità sui semiconduttori: il punto della situazione EDITORIALE

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