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Lo scorso mese di marzo la Commissione Europea ha presentato “Digital Compass”, un programma senza dubbio ambizioso che si pone un duplice obiettivo: “avere in casa” tecnologie di processo da 5 nm (con target finale a 2 nm) e poter contare su una pro- duzione globale di chip pari al 20% di quella globale entro il 2030. Una mossa di questo tipo è ovviamente dettata dall’eccessiva dipendenza dai Paesi asiatici per quanto con- cerne la produzione di chip e dalle tensioni geopolitiche tra Stati Uniti e Cina, con tutte le conseguenze che ciò comporta. In questi ultimi mesi il tema fonderie è diventato di stringente attualità: basti pensare al recente annuncio di Intel che prevede, nell’ambito della strategia di rilancio, anche la realizzazione di due nuove fabbriche in Arizona con un investimento di circa 20 miliardi di dollari. Una fabbrica da 30 miliardi di dollari che utilizza tecnologie da 5 o addirittura 2 nm comunque non risolverebbe il problema. In primo luogo, perché realizzare una fab di questo tipo senza il supporto di specialisti (Tsmc o Samsung) richiederebbe un tempo da 10 a 15 anni e decine di miliardi di investimenti e lo sforzo potrebbe non essere coro- nato dal successo. L’altro aspetto da considerare è la domanda: molto probabilmente la richiesta di chip proveniente dall’Europa non sarà tale da giustificare un investimento di tale portata. Il modo migliore quindi per risolvere il problema della sovranità tecnologica potrebbe essere quello di creare un solido ecosistema di produzione in grado di fornire semicon- duttori alle aziende europee sul lungo periodo. L’Europa è già sede di produttori di chip e fornitori di apparecchiature come STMicroelectronics, Infineon Technologies, Nxp Semiconductors e Ams, oltre a GlobalFoundries e Asml. Ci sono anche fonderie come Tower Semiconductor e X-Fab e altre circa 200 aziende, tra cui IDM e filiali di produttori di sistemi e produttori di apparecchiature per semiconduttori – Elmos, Murata Europe, Besi, EVG, Soitec e Siltronic – che sostengono l’indipendenza produttiva e tecnologica dell’Europa. Facendo leva su queste competenze si potrebbe incominciare a realizzare strutture che operano su nodi intermedi (da 7 a 14 nm) in grado di supportare le esigen- ze delle applicazioni europee, ovvero automotive, industriale, IoT e telecomunicazioni. Ciò, abbinato a investimenti in settori quali l’integrazione eterogenea e il packaging avanzato, permetterà all’Europa di arricchire il proprio know-how e prepararsi a pas- sare sul lungo periodo ai nodi di processo più fini. Filippo Fossati 13 - ELETTRONICA OGGI 493 - APRILE 2021 2 nm sono la strada giusta per l’Europa dei chip? EDITORIALE
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