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L’intelligenza artificiale, è risaputo, non si può definire certamente una nuova tecnologia: la sua data ufficiale di nascita risale al 1956, l’anno del famoso seminario estivo tenutosi pres- so il Dartmouth College di Hanover (New Hampshire). Anche se alcuni risalgono molto più indietro nel tempo scomodando la macchina logica di Raimondo Lullo se non addirittura le macchine semoventi di Erone di Alessandria. In ogni caso, l’intelligenza artificiale come la intendiamo oggi risiede in data center remoti ed è in grado di esaminare volumi immensi di dati, generando informazioni e analisi detta- gliate sfruttando algoritmi analitici sempre più sofisticati. Queste capacità sono utilizzate, in varia misura, per ottimizzare i processi decisionali. Un aspetto che val la pena sottolineare è il fatto che l’intelligenza artificiale non è un mondo a se stante, bensì va sempre più intersecandosi con altri mondi, tra cui quello dell’Internet of Things. Con questo termine, in estrema sintesi, s’intende la possibilità data a macchine in precedenza isolate di comunicare tra di esse e di generare nel contempo dati che per- mettono di generare nuove modalità operative. Dall’intersezione di questi due mondi è nato un nuovo acronimo, AIoT, ovvero Artificial Intelligence of Things. Obiettivo di AIoT è sviluppare a una rete di dispositivi, in questo caso dotata d’intelligenza, in grado di acquisire e analizzare dati in remoto e tradurli in informa- zioni che producono azioni a livello locale dando vita ad applicazioni fino a ora irrealizzabili. L’elemento forse più “rivoluzionario” del concetto di AIoT è probabilmente l’inversione del modello basato su cloud a cui si è abituati. Questa inversione è dettata anche da motivi pratici. Secondo i dati resi noti da Statista entro il 2025 vi saranno 75 miliardi di dispositivi IoT, un numero cinque volte maggiore rispetto a quello del 2015: è abbastanza chiaro che di fronte a questi numeri sarà difficile adeguare la connettività e l’infrastruttura cloud in modo da supportare una crescita esponenziale di questo tipo, per cui è giocoforza neces- sario installare una maggiore intelligenza alla periferia della rete. Per conseguire tale obiettivo sarà necessario definire una nuova classe di processori, i processori per AIoT appunto, che dovranno poter essere utilizzati in una molteplicità di applicazioni e adattarsi quindi a un gran numero di esigenze molto diversificate in funzione del particolare segmento di mercato. Il tratto distintivo di questi processori sarà quindi la flessibilità, oltre che ovviamente il costo contenuto, che permetterà ai progettisti di un pro- dotto (e non ai produttori di chip) di definire i migliori compromessi in termini di risorse di elaborazione necessarie (AI, DSP, controllo e I/O). L’architettura di questi nuovi processori dovrà essere ripensata, in modo da non richiedere, ad esempio, l’integrazione di IP di terze parti (con i relativi costi di licenze). Le problematiche da affrontare non sono certo banali ma la diffusione del concetto di AIoT permetterà di trarre enormi vantaggi in settori vasti e differenti, dalla smart home alla sanità connessa, dall’automotive alle città “intelligenti”. Filippo Fossati 13 - ELETTRONICA OGGI 484 - MARZO 2020 Macchine “intelligenti”: l’ascesa di AIoT EDITORIALE

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