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Nella primavera di 17 anni fa la Sars (sindrome respiratoria acuta) ha colpito la Cina e Hong Kong, con un danno netto globale, in termini economici, stimato pari a 40 milioni di dollari. Per l’industria elettronica cinese, ha significato una chiusura durata parecchi mesi. L’anno successivo, ovvero nel 2004, l’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti ha simulato diversi modelli basati sulla persistenza di un coronavirus simile alla Sars giungendo a una conclusione peraltro ovvia: più a lungo persisteva il virus, maggiore sarebbe stato il danno economico. A questo punto non bisogna dimenticare che la Cina di oltre tre lustri fa era molto diversa da quella odierna. A quei tempi, il business dei semiconduttori stava muovendo i primi passi ed era vista principalmente come fonte di manodopera a basso costo per la produ- zione e molte delle fabbriche che operavano in Cina erano di proprietà di multinazionali. A seguito dell’epidemia di Sars, molte delle aziende colpite hanno impiantato fabbriche in altri Paesi per impedire il ripetersi di questo problema. Al giorno d’oggi la Cina è un hub tecnologico impegnato su più fronti in settori di punta quali infrastrutture 5G, smartphone, intelligenza artificiale, auto elettriche e altri ancora. Sempre in Cina vi sono alcune delle più avanzate fabbriche di semiconduttori di tutto il mondo. I programmi del Governo cinese, d’altra parte, sono altrettanto ambiziosi: l’obiettivo dichiarato del programma “Made in China 2025” prevede, ad esempio, che il 70% dei semi- conduttori (così come i veicoli elettrici e le forniture per le energie rinnovabili) dovranno essere, per l’appunto, made in China. I robot industriali prodotti internamente dovranno passare dal 50% del 2020 al 70% in cinque anni. Lo stesso discorso vale per le apparec- chiature medicali più avanzate, mentre la componentistica per robot dovrà arrivare all’80% entro il 2030. Complementare al programma “Made in China” è la cosiddetta “Via della Seta” (Belt and road initiative), ovvero una costruzione di una rete di infrastrutture e di collega- menti che interesserà 152 Paesi in Europa, Asia e Africa. L’obiettivo neppure tanto celato è proporre la Cina come principale fornitore di tecnologie chiave per i Paesi attraversati e garantire un flusso costante di prodotti legati a queste tecnologie. Appare dunque ovvio a questo punto che man mano che i destini tecnologici di questi Paesi si intrecceranno sem- pre più saldamente, l’impatto di qualsiasi rallentamento della Cina avrà risvolti inaspettati. E un virus che s’insinua nelle rotte commerciali avrà implicazioni molto più ampie per il com- mercio globale. Anche se la Cina ha reagito più rapidamente a questo coronavirus rispetto al 2003, nessuno può prevedere quanto durerà. Tuttavia, il problema di fondo è simile. Proprio come un singolo punto di errore può far crollare qualsiasi struttura, può anche far crollare un’infrastruttura economica. E più diversificata e integrata è tale infrastruttura, maggiore sarà il danno collaterale. Non si tratta solo della Cina. Un’interruzione in qualsiasi parte della catena di approvvigionamento globale può causare danni, com’è già successo con la Sars nel 2003. Ma un’interruzione in Cina oggi, che è sia un grande consumatore sia un produttore di chip ed elettronica, può causare danni molto peggiori e più diffusi. Un virus potrebbe essere un campanello d’allarme per le aziende che si affidano alla Cina per i componenti e la produzione. Più a lungo persiste il coronavirus e maggiore sarà il suo impatto, sempre più aziende dovranno ripensare la loro strategia. Filippo Fossati 13 - ELETTRONICA OGGI 483 - GENNAIO/FEBBRAIO 2020 Mercato dei chip: un virus in agguato EDITORIALE

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