I brevetti industriali: da arma di difesa a strumento d’attacco.

Dalla rivista:
EONews

 
Pubblicato il 27 giugno 2002

“In ogni caso, ha sostenuto il Prof. Campo Dall’Orto, anche nei settori dove la vita utile del prodotto è più breve del tempo che occorre per condurre una ricerca, brevettare e procedere al deposito, come è il caso dei semiconduttori, conviene sempre e comunque procedere con un’accurata analisi dello stato dell’arte prima di intraprendere lo sviluppo di un nuovo prodotto e sostenere i relativi costi, piuttosto che vedersi poi coinvolti in denunce per violazione di brevetto o veder sprecati mesi di lavoro di ricerca su un prodotto già brevettato da altri”. Proprio sul vantaggio economico può puntare anche l’università, ha sostenuto Giampio Bracchi, prorettore del Politecnico di Milano. Remunerando adeguatamente i propri ricercatori, l’università incrementerebbe la propria attività brevettuale, traendone benefici sul piano economico e svolgendo così una funzione di raccordo tra mondo delle imprese e università. Se un esempio emblematico è l’università statunitense di Stanford, anche molte università italiane stanno ora strutturandosi per favorire la valorizzazione dei risultati della ricerca. Riccardo Pietrabissa, responsabile del Servizio Brevetti del Politecnico di Milano, ha illustrato le attività del servizio e le caratteristiche del nuovo regolamento brevetti che sta ottenendo interesse e consensi degli interessati. l ricercatori infatti possono cedere il diritto del brevetto all’università, che garantisce le attività e la copertura dei costi di brevettazione, lo sviluppo e la commercializzazione e che ripaga gli inventori con il 60% dell’utile dello sfruttamento.

In taluni casi poi si favorisce lo sfruttamento diretto del brevetto mediante la creazione di una nuova impresa nella quale gli inventori partecipano con l’università. Il risultato è stato che se nel 2001 Politecnico Innovazione ha depositato in tutto 10 brevetti, a maggio 2002 si è già arrivati a 9. Anche il Governo è intervenuto sul tema all’interno della legge 383/01b “Primi provvedimenti per il rilancio dell’economia”. L’articolo 7 sancisce che l’inventore, oltre agli inalienabili diritti di autore, abbia i diritti patrimoniali derivanti dalla titolarità del brevetto, ma debba riconoscere una quota rilevante degli utili (dal 30 al 50%) all’università dove ha svolto la ricerca. Secondo Pietrabissa, questo articolo comporta tre effetti nocivi: il primo è la riduzione della ricerca commissionata dall’industria alle università, che non possono trasferire eventuali brevetti di cui non hanno titolarità; il secondo è la perdita di interesse delle università ad aiutare i ricercatori a sviluppare i loro brevetti; il terzo è che il ricercatore vede l’università come esattore di una tassa sul proprio lavoro di ricerca.
In definitiva il convegno ha voluto lanciare un chiaro monito: brevettare non è certo facile ed è costoso, ma l’innovazione industriale va protetta. Per farlo bene, ha ribadito Mittler, “l’importante è rispettare i tempi, cioè non divulgare l’innovazione prima che sia stata depositata la domanda di brevetto e rivolgersi ad esperti appropriati, siano essi consulenti brevettuali, durante la fase di presentazione e ottenimento del brevetto, o avvocati, in caso di azione legale”.

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